martedì 20 dicembre 2011

Tutto sotto controllo

Oggi, mentre passeggiavo per la strada e pensavo come al solito alla vita, ho udito una bella musica e, automaticamente, ho fatto qualche passo di danza.
 
Bello o brutto non lo so, forse sono sembrato più simile ad un orso ammaestrato che a Roberto Bolle. E, appena me ne sono reso conto, mi sono subito ricomposto.

Per un qualche strano motivo, la musica ha aggirato le mie difese mentali e ha raggiunto una parte remota e sconosciuta della mia mente. Ho perso il controllo e ho semplicemente ballato, abbandonandomi alla musica.
Se qualcuno mi ha visto, avrà certamente pensato che sono un poco pazzo e sarà rimasto a debita distanza. Già, come ho potuto lasciarmi andare così? Come ho potuto perdere il controllo?
 
Ed ecco, che un pensiero mi ha folgorato. Nella vita mi capita alle volte di sentire della musica, ma quante volte mi controllo e quante invece mi abbandono ad essa e ballo, anche col rischio di sbagliare e apparire ridicolo?
 
Il mondo è una pista da ballo e io sono un ballerino. E non ha senso arrabbiarsi, non ha senso pensare "se avessi fatto", oppure "voglio fare". C'è la musica, c'è la pista, può essere bella o può essere brutta... ma io devo solo ballare.
 
Abbandonarmi al ritmo, staccare la mente cosciente e lasciarmi trasportare.
Ci sono musiche e balli che bisogna fare in coppia: o in gruppo. E allora bisogna abbandonarsi l'un l'altra. Abbracciarsi, portare o lasciarsi portare. Il ballo è puro, non può mentire, si può solo essere l'uno per l'altra e si prosegue insieme finché c'è musica, finché c'è affiatamento e passione.
La vita è questo: ballare, lasciarsi trasportare, perdere il controllo.

Perché sarò sembrato ridicolo, sarà sembrato fuori luogo, ma quanto sono stato bene nell'abbandono di quell'attimo in cui ho perso il controllo.

 
Io sono ossessionato dal controllo: voglio ad ogni costo controllare l'incontrollabile. Il futuro, i sogni, gli amici, il tempo, gli amori... Ho illusioni, paure, guardo alla mia vita con terrore, tenendo aperti mille occhi, poiché nulla sfugga al mio controllo.
 
In fondo, finché terrò radicata in me la certezza che la mia felicità dipenda dall'esterno, non riuscirò a staccarmi dal mio bisogno di controllo.

 
Progetto forse di farmi una vita con una persona: è giustissimo, bisogna inseguire e perseverare in questo sogno. Ma se lego la mia felicità al raggiungimento di tale sogno, se anzi mi spavento che tale sogno non possa realizzarsi, ecco che il bisogno di controllo sopraggiunge. E l'abbandono, l'amore, vengono meno. La persona che ho accanto "deve" fare parte di questo sogno: deve perseguire con me la mia meta. Dimentico l'amore per la persona e lo sostituisco con l'ossessione del mio sogno, del mio progetto. Amo di più la mia illusione, della persona che la rappresenta. E come potrei fare altrimenti? Accettare e amare quella persona, significherebbe amarla e accettarla al di là delle sue scelte. Perdere il controllo di quella persona, significherebbe che questa può abbandonare il mio sogno e le mie illusioni. E come posso fare ciò, se il mio sogno così importante ne viene distrutto?
 
Illusioni... io sono ossessionato dal controllo, ma l'unica cosa che controllo sono le mie illusioni. Il controllo che io esercito su quella persona, fa uso del senso di colpa, dell'imposizione, del blandimento, della pietà, del ricatto perfino: esaudirò ogni richiesta, sarò pronto ad ogni rinuncia, purché il mio sogno rimanga intatto. L'illusione deve essere mantenuta, ad ogni costo... ma sono comunque illusioni, su cui non ho alcun controllo, né potere, poiché l'altra persona può decidere nonostante tutto di intraprendere la sua strada, com'è giusto che sia.
 
Ed ecco che la mia illusione è stata infranta e io soffro. Soffro perché sono costretto a vedere il mondo per quello che è, anziché come appariva nel mio sogno. E invece di capire ciò e imparare ad amare le persone e la vita con i loro errori e le imperfezioni, provo rabbia e risentimento, per le persone e per gli eventi che non hanno voluto collaborare alla creazione del "mio" sogno. 
La mia mente decide una strada, ma se lungo il cammino accadono eventi che mi spingono a deviare, che perturbano il sogno che mi ero prefissato, provo dolore, rabbia, sconcerto... Ho perso il controllo, l'illusione del controllo, il controllo dell'illusione. Il dolore deriva semplicemente dal rifiuto sentire ed interpretare la musica del mondo e della vita. Trovare la gioia in un evento che sembra brutto, vedere che non vi sono punizioni, ma solo doni. Ballare la vita.
 
Invece io piango, mi dispero, smetto di ballare, rifiuto di abbandonarmi. Questo non è ciò che volevo io. E non mi rendo conto che se ciò che io voglio mi venisse dato senza alcuno sforzo, non maturerei e conoscerei solo poche cose del mondo. Le sconfitte, i cambi di rotta, le disavventure, mi parlano di me stesso: quante altre cose mi fanno vedere e conoscere! E se mi lasciassi travolgere dalla musica, scoprirei che ci sono altre mille cose da desiderare oltre alle cose che mi ossessionano, che ci sono mille vite da vivere, oltre a quella che mi ero fissato, che ci sono mille piaceri e gioie da raccogliere, oltre a quelle che speravo di raccogliere sulla mia strada. A questo servono le batoste, a infrangere la scatola, il guscio che mi conteneva e farmi vedere le meraviglie del mondo. A questo serve la musica, a farmi ballare la vita. 
Ma io non mi rendo conto, non capisco. Io giudico, piango, protesto. Non sento musica, non sento abbandono. La vita non mi ha insegnato nulla.
La prossima volta, invece di abbandonarmi, cercherò semplicemente di avere un controllo migliore.
 
Il controllo delle mie illusioni...

 

mercoledì 14 dicembre 2011

Il tema di oggi è la paura...

La paura è ciò che regola la nostra vita, anzi, possiede la nostra vita, è la nostra vita. Smettiamo di essere "io" e diventiamo qualcos'altro... diventiamo la nostra paura.
 
La nostra paura ci fa scegliere, la nostra paura ci consiglia, la nostra paura mangia, vive, respira per noi... Spesso lo chiamiamo buon senso, altre volte prudenza, altre volte "alte e divine regole morali". Sono alcuni dei nomi che la paura da a sé stessa... perché abbiamo paura perfino di ammettere di avere paura.
 
Abbiamo paura di lasciare il lavoro, abbiamo paura di essere giudicati, abbiamo paura di muoverci, abbiamo paura di interessarci, abbiamo paura di esprimerci, abbiamo paura di amare...
 
Lo stesso giudizio, buono o cattivo, che diamo di noi stessi, è un'espressione della paura: "grasso, bello, pigro, capace, stupido, folle". Il giudizio è l'etichetta che la nostra paura da a ciò che ci circonda. La nostra paura diventa i nostri occhi e col giudizio, diventa la nostra irreale realtà.
 
Già, la paura fa apparire reale ciò che è irreale. In primo luogo chi e cosa noi siamo.
Non siamo il nostro lavoro, la nostra macchina, il nostro frullatore, il nostro pieno di benzina, il nostro cellulare. Eppure, quanto tempo dedichiamo di più a queste cose, anziché alle cose che siamo davvero? Ci preoccupiamo del nostro corpo, ci preoccupiamo del vestito, ma quando curiamo il nostro corpo e il nostro vestito, lo facciamo amandoci o lo facciamo giudicandoci?
 
Perché lo facciamo? Per paura... paura di essere davvero ciò che siamo e sentiamo. Perché un giorno abbiamo smesso di amare noi stessi, per adattarci ad un mondo che ci terrorizzava.
 
Chiamiamo superfluo ciò che è essenziale: la ricerca di noi stessi, la realizzazione dei nostri sogni e interessi, sono il "di più", gli hobbies, le cose da fare nel tempo libero che non abbiamo.
 
E chiamiamo essenziale ciò che invece è superfluo: i soldi per comprare inutili cose superflue, sicurezza e stabilità (economiche ed emotive) che sono pure illusioni, il lavoro, l'apparenza che abbiamo agli occhi degli altri.
 
E mentre coltiviamo con tanto impegno il superfluo, tutto ciò che siamo davvero resta nascosto: la paura ci fa restare nascosti. Mostriamo al mondo e agli altri ciò che gli altri e il mondo giudicano giusto. E così, non ci conosciamo e, men che meno, ci conoscono gli altri e, ancora meno, conosciamo gli altri...
Come si può amare in questo modo? Non sappiamo chi siamo, come possiamo amarci?
Conoscere sé stessi significa amare sé stessi, giudicare sé stessi significa odiare sé stessi.
E vale così per noi, come per tutto ciò che ci circonda, cose, persone, eventi.
Noi siamo perfetti, puri, sognamo e ci lasciamo trasportare da ali forti e potenti.
 
Non esiste nulla che non sia possibile, vediamo oltre ogni cosa. Tutto è magia, gioco, divertimento. Realtà e fantasia sono parole senza senso, in quanto esiste solo il nostro mondo perfetto e ciò che è reale, irreale, possibile o impossibile, siamo solo noi a deciderlo.
 
E' impossibile non avere paura, chi dice di non averla... mente a sé stesso. No... bisogna vederla la paura, bisogna riconoscerla, bisogna affrontarla. Noi siamo i nostri desideri, noi siamo i nostri sogni, noi siamo la nostra pazzia, il nostro amore, il nostro slancio impetuoso, il nostro entusiasmo, la nostra gioia.
Togliamo la paura dai nostri occhi e dal nostro cuore e vedremo che è davvero così.

venerdì 9 dicembre 2011

Io sono

1) Aiuto le persone tristi ad essere felici
2) Vivo le difficoltà e le supero, così da poter insegnare agli altri come fare
3) Lascio che le persone seguano la loro strada, senza trattenerle.
4) Allontano da me i pensieri negativi e riempio il mio cuore di entusiasmo.
5) Affronto la vita per quello che è, senza giudizio, ma con tanto Amore.
6) Io non ho paura.

Ecco ciò che sono, non domani, non tra un anno. Ciò che sono è qui, ora, io lo devo solo far esplodere attorno a me. Il buio mi impedisce di vedere ciò che ho attorno: la luce mi permette di essere ciò che sono.

Non esiste passato, non esiste futuro. La vita è ora.

"You can be anything you want to be.
Just turn your self into anything you think that you could ever be"
Innuendo - Queen

http://www.youtube.com/watch?v=BaCLWt0EVUM

martedì 6 dicembre 2011

Solo una storia

C’era una volta un uomo, un uomo che aveva sempre molta fretta.
Camminava veloce, per andare a lavoro: non alzava mai la testa dalla sua strada e, se qualcuno osava importunarlo, lo mandava via a male parole. Era molto infastidito dagli imprevisti, dalla gente troppo chiacchierona, da qualunque cosa gli facesse perdere tempo prezioso: il tempo si sa, è denaro.

Al mattino salutava in fretta moglie e figli: zittiva infastidito il bimbo che cercava di raccontargli delle sue scoperte da bambino. “Cresci!” gli diceva. “Non diventerai mai qualcuno, se perdi tempo per queste sciocchezze.”

E l’uomo continuò a correre e lavorare, ma, per quanto corresse, il tempo a sua disposizione non aumentava. Anzi, era sempre meno. Diventò sempre più inquieto, e nervoso. Sempre più irascibile con chi gli faceva perdere tempo. Allora corse di più…

Venne Natale… Che fastidio… che inutile perdita di tempo era il Natale. Andò di corsa in un negozio e si fece consigliare dalla commessa i regali più belli e costosi. Non aveva tempo per scegliere lui: e non avrebbe nemmeno saputo cosa prendere, non sapeva cosa piacesse davvero ai suoi figli. Non aveva tempo di ascoltare le loro sciocchezze da bambini…

E fu ancora più infastidito, quando si ricordò di aver promesso alla sorella di andare a trovare l’anziano padre alla casa di riposo. Che inutile perdita di tempo era. Suo padre ormai camminava a fatica e aveva solo pochi momenti di lucidità, nei quali gli raccontava vecchie storie inutili e noiose. Era curvo… aveva i capelli bianchi… una serie infinita di anni e vicissitudini impresse sul volto.

Una volta era stato un uomo forte, ma ora? Le gambe non gli permettevano più di correre e faticare: ora che non poteva guadagnare, che non poteva produrre, era diventato solo un fastidioso scarto, da gettare in un angolo. A cosa gli era servito correre e affannarsi tanto? Gettare via i suoi affetti, il suo tempo così prezioso? Cosa rimaneva ora di tutto quello che aveva fatto. Aveva accumulato soldi, case, auto e ora giaceva su una sedia abbandonato da tutti, senza quasi più sapere chi fosse.

Fu un attimo… prima che quelle parole entrassero nella mente dell’uomo. Guardando il proprio padre chino su quella sedia, ormai ombra di sé stesso, l’uomo si rese improvvisamente conto che stava semplicemente osservando sé stesso.

Era Natale… e lui non aveva tempo. Trovava fastidiosa la presenza dei suoi stessi figli e, per sopperire alla sua assenza, li copriva con regali costosi. E quando loro osservavano tristi la sua schiena, mentre se ne andava, pensava quasi con rabbia che erano degli ingrati: che cosa potevano volere di più, se non altri giochi nuovi?

Aveva gettato il suo tempo per avere soldi, soldi con cui comprare inutili cianfrusaglie per farsi perdonare dalle persone… farsi perdonare di non avere tempo per loro! Si credeva tanto importante, col suo lavoro e le sue responsabilità, ma stava solamente bruciando la sua vita, una banconota alla volta…

Era Natale… e suo padre stava a marcire solo in una stanza… perché lui non aveva tempo.
Presto quella sedia sarebbe stata vuota, avrebbe liberato il posto. Il posto per lui…

Non c’è finale a questa storia: forse quell’uomo prese suo padre e lo portò a casa e passò un Natale felice con la sua famiglia. Forse iniziò ad osservare ciò che gli succedeva intorno: non si arrabbiò più se qualcuno gli faceva perdere tempo, ma anzi scoprì che gli piaceva conversare, gli faceva bene al cuore.

E forse fu ancora più sorpreso, quando scoprì che, così facendo, il tempo non svaniva, anzi, aumentava. E che era tempo piacevole, passato in compagnia a coltivare affetti, gioire e, perché no, asciugare qualche lacrima.

Forse si stupì, quando portò i figli al negozio di giocattoli, ma questi abbandonavano inutilizzati i giochi e preferivano giocare con lui: niente luci elettroniche e robots di plastica. Era molto più divertente rincorrersi e fare la lotta. Costruire insieme l'albero di Natale e il Presepe. Leggere insieme una storia. E quanto si divertiva anche l'uomo, a riscoprirsi così bambino in quei giochi.

Forse cominciò ad ascoltare il padre, che era vecchio, ma aveva tanta saggezza da regalare.

Forse cominciò a capire che un sorriso vale più di una Ferrari e che il mondo è fatto dalle persone, non dal denaro.

Forse accumulò meno soldi, ma fu certamente, molto più ricco.

E’ solo una storia… parla di tempo, di denaro, ma soprattutto parla del giusto valore. Il giusto valore del tempo, il giusto valore della nostra vita. E’ una storia senza finale, perché il finale saremo noi a scriverlo… sempre se avremo tempo per farlo, sempre se avremo il tempo... di vivere.



mercoledì 30 novembre 2011

La teoria del Cerchio

Solitudine... è questa una parola terribile, quella che temo maggiormente. La salute, certo, un buon lavoro, certo, avere valori, certo. Eppure, di fronte alla solitudine, tutte queste cose perdono di senso.

Ma che cos'è la solitudine? Un po', credo, lo sappiamo tutti. Io in genere la vedo come un mostro crudele, fatto di ombre: si insinua dentro di noi e lentamente ci consuma. E non importa che magari siamo in compagnia, quindi non fisicamente soli: la solitudine ti assale anche in mezzo a centinaia di persone.

Accade questo... accade, perché non tutte le persone hanno la chiave per il nostro cuore. E possiamo avere centinaia di amici, uscire, essere promiscui, fare quello che ci pare, ma se non incontriamo qualcuno che ha la chiave giusta... ci sentiamo soli, disperatamente soli.

Ho deciso di chiamare questo meccanismo, Il Cerchio.

Il Cerchio è lo spazio vitale, il nostro spazio emotivo. Solo chi ha la chiave giusta può entrare nel nostro Cerchio. Ecco che, nei momenti in cui ci sentiamo soli, il nostro Cerchio è stretto, chiuso addosso a noi. Nessun altro, eccetto noi, è al suo interno.

E allora sono due le possibilità: o arriva qualcuno, con la chiave giusta e apre il nostro Cerchio... oppure siamo noi stessi a doverlo aprire.

Già, perché la chiave del nostro Cerchio, solo noi l'abbiamo... E se ci sentiamo soli, forse vale la pena ingrandire un po' il Cerchio. Allargarlo, un pezzo alla volta... E via via che diventerà più largo, sempre più persone ne verranno abbracciate.

Il Cerchio si può allargare in tanti modi: iniziativa, amore proprio, fiducia, un pizzico di coraggio...

Ma certo che siamo noi i primi, a dover ritrovare la chiave giusta. Se non lo facciamo noi, chi altro potrà?
Cerchiamo la nostra chiave, apriamo il nostro Cerchio e così troveremo in primo luogo noi stessi. E solo allora potremo allargare il Cerchio e includere altre persone. E poi allargarlo, e allargarlo ancora. Finché non abbraccerà il mondo intero!

Io l'ho chiamato Cerchio, ma c'è chi lo chiama... Cuore...


martedì 29 novembre 2011

Il nostro giardino

Oggi mi guardo allo specchio e... non mi piace quello che vedo.
 
Lo specchio non riflette solo il nostro aspetto, riflette la nostra anima, riflette il nostro umore.
E mi ritrovo a osservare, osservo la mia vita ed essa, improvvisamente, mi appare come un giardino mal curato.
 
Già, un giardino, perché la nostra vita è questo. Un giardino, da curare ogni giorno, da accudire...
 
I bei fiori, le piante rigogliose, gli alberi, sono le cose belle della nostra vita: le erbacce, i rovi, le piante infestanti, sono le cose brutte della nostra vita. 
E noi siamo i contadini, incaricati di prenderci cura di questo splendido giardino.
Immagino questo contadino: è sereno, in pace... Osserva il giardino senza giudizi, ma attento al lavoro che deve svolgere.
 
Odio, invidia, rabbia, paura... queste sono le erbacce che invadono il nostro giardino. Esse crescono e proliferano nell'incuria: se non vengono estirpate, si moltiplicano, si diffondono e rovinano e oscurano anche le piante belle, fanno morire e avvizzire i nostri fiori.


Allora il contadino, con fatica, con pazienza, estirpa una ad una tutte le erbacce. Non impreca contro Dio e contro la vita, non si arrabbia, né si sente vittima delle ingiustizie. Semplicemente si mette all'opera, perché né rabbia, né odio, né paura, fanno crescere nulla. Non si coltiva, né si raccoglie nulla, con i cattivi sentimenti.
 
Il contadino estirpa le erbacce e si prende cura di ogni pianta, con amore. Perché l'Amore fa crescere le cose belle, le rende uniche e meravigliose; dall'amore nascono e prosperano tutte le cose belle...
 
Certo costa fatica l'amore, costa impegno e pazienza. Esso deve essere applicato con costanza, ogni giorno, per rendere più bello il nostro giardino e eliminare le erbacce che vi si annidano. Quanto è più facile, sedersi a piangere, lamentarsi, lasciarsi invadere dalle erbacce. Poiché è questa la grande forza del male... basta ignorarlo, perché metta radici e distrugga il nostro giardino.
 
Il buon contadino è attento: egli conosce ed ama ogni fiore del suo giardino. Ogni giorno se ne prende cura, perché sa che solo così potrà godere della sua bellezza. E se un giorno la tempesta devasta i fiori e spezza le piante, egli certo piange, ma non potrà mai odiare il suo giardino: con pazienza ripianterà i fiori, taglierà i rami spezzati, ricostruirà il suo giardino un pezzo alla volta.
 
E allora penso che anche io voglio essere come quel contadino: voglio amare e curare la mia vita, ogni singola pianta e fiore che cresce in me. E quando sentirò cattivi sentimenti in me, paura, rabbia, disperazione, voglio saperli estirpare, proprio come le erbacce in un giardino. Perché i cattivi sentimenti sono facili, ma non ne nasce nulla, non portano a nulla, il nostro giardino ne è solo rovinato.
 
Chi venisse a visitarlo, ne ricaverebbe solo tristezza... come potremmo insegnare e trasmettere l'amore in un giardino incolto e pieno di erbacce? Chiunque lo vedesse, si rattristerebbe: si convincerebbe che la vita è orrenda e non vale la pena di amare...
I buoni sentimenti invece, sono difficili, ma se li sappiamo coltivare con cura e amore, essi daranno buoni frutti e sarà la nostra vita intera a fiorire.

E allora, in quel giardino pieno di fiori, profumi, colori, potremo accogliere altre persone: essi vedranno come l'amore può rendere bella una vita e impareranno essi stessi a coltivarlo. Porteremo i cuori doloranti sui nostri sentieri alberati, ed essi ne trarranno sollievo; con candidi petali, rimuoveremo le lacrime di dolore dai loro occhi, cosicché essi possano vedere il posto meraviglioso in cui si trovano. E quando partiranno, avranno corone di fiori, buoni semi da piantare e soprattutto amore, da condividere e far fiorire. Finché tutto il mondo diventerà uno splendido giardino fiorito...


Pensiero

Agli amici che mi sono sopravvissuti, a coloro che mi hanno incrociato sulla strada, a chi ha condiviso con me anche un solo momento speciale... ognuno di voi si è preso un po' del mio cuore, un po' della mia anima, un po' della mia vita.

Lentamente mi consumo, velocemente mi consumo, come una candela accesa da una fiamma troppo forte: perché ogni sguardo e parola, ogni pensiero ed emozione che voi mi avete dato, ha alimentato un po' di questa fiamma, facendomi vivere più intensamente, e consumandomi più velocemente.
 

La vita è questo: un continuo consumare e consumarsi, un continuo piangere e ridere, ballare e crollare, ammalarsi e guarire, correre e barcollare, verso una destinazione ignota, verso una speranza, un'illusione, un amore o un ideale.
 
Immensamente insieme, immensamente soli, è questo il nostro destino: ci accompagnamo, forse per un tratto, ma poi le nostre strade si separano sempre.

La soglia del grande mistero del domani, la attraversiamo sempre soli: nei nostri sogni, nei nostri tormenti, non abbiamo altro che il grande vuoto che portiamo nel cuore, in cui la nostra voce riecheggerà senza sosta, fino a quando non smetterà di battere...
 
Terribile, meravigliosa vita: che ti da tutto e ti toglie tutto, eppure non ti lascia senza nulla.
Ricordi e nostalgia, speranze e voglie, rimorsi e rimpianti...
 
Non smetterò mai di interrogarmi sullo scopo di questo fenomenale tormento; non smetterò mai di chiedermi se ci sia uno scopo...
 
E scivola così un altro giorno: incertezze e paure, desideri e ambizioni. Sete di libertà e paura del dolore: e odio e amore..
 
 

lunedì 28 novembre 2011

Vivere e morire

Perché mi sento così? Ho la testa, confusa, piena di domande e dubbi.
E' come se mille voci parlassero in me tutte assieme, ognuna con la propria domanda, ognuna senza risposta.

Sono in fase di grande cambiamento, nella mia vita: un cambiamento così forte come non l'ho mai avuto e come non avrò forse più... e ho paura. Ci sono giorni, come oggi, in cui l'ansia mi assale: mi sento come un guerriero prima di una grande battaglia, dalla quale non sa se tornerà vivo. Il mio mondo antico si sta sgretolando, pezzo per pezzo e uno nuovo si sta formando al suo posto: migliore, peggiore, forse solo diverso, forse è solo il mio vero io, che dopo tanta prigionia viene alla luce.

Devo temere ciò che sono? Ciò che sto diventando? A volte, mi sento così stanco che vorrei solo chiudere gli occhi e dormire... Non vedere nessuno, non parlare con nessuno, non fare niente: come la bestia che si raccoglie immobile prima di un balzo, come l'aria che si fa densa, ferma e pesante, prima che si scateni l'uragano che spazzerà via ogni cosa.

In me ci sono così queste due forze: la paura del cambiamento e il desiderio, la volontà che mi spinge avanti. Una lotta furiosa, che a volte temo possa uccidermi. Eppure, io sento chiara la voce del mio cuore: sa cosa vuole, sa cosa fare e mi spinge inesorabile, come la voce di un'implacabile sirena, che mi chiama negli abissi del mio spirito e io sono costretto ad obbedire. Quanti a questo mondo, zittiscono quella voce e seguono le regole sicure e solide del vivere civile? Forse sarebbe meglio così, forse ragionare così mi eviterebbe molte sofferenze, fatiche, lacrime... e una parte di me lo vorrebbe. Una parte di me si batte furiosa per tenermi fermo, per impedirmi di lasciare che tutto vada in pezzi, per convincermi che a volte si deve sacrificare la propria felicità, in cambio di pace e tranquillità e di un vivere sereno.

Molte persone fanno questa confusione: confondono la serenità con la felicità. Ma sbagliano: mentre la prima l'abbiamo quando la nostra vita procede pacifica e tranquilla, la seconda la troviamo solo al termine di un'aspra lotta. Una lotta in cui forse abbiamo perso tutto, ma nella quale abbiamo rinnovato noi stessi; abbiamo distrutto il mondo, ma ne abbiamo creato uno nuovo. La felicità con il tempo e la pace si trasforma in serenità: per ritrovare la felicità, ecco che una nuova lotta ci travolge, ecco che nuovamente tutto va in pezzi e ancora rinasce per ricominciare.

Attraversare l'Inferno e, come Dante, "uscimmo di nuovo a veder le stelle".

Uscire... non si esce mai completamente dall'Inferno. Quando scendiamo nelle profondità oscure di noi stessi e scoperchiamo lati di noi, che forse sarebbero dovuti restare nascosti, allora non potremo mai più pensare di essere come prima. Ciò che ho visto dentro di me, nel buio della mia anima, mi segue costantemente. E' sempre con me, respira, mangia, parla, agisce... io sono quella parte oscura, così come sono la parte luminosa. Forse è così, forse siamo tutti incompleti e diventiamo veri solo dopo aver scoperto quello che abbiamo nelle remote profondità del nostro spirito.

"La conoscenza porta l'uomo alla perdizione": non ricordo chi abbia detto questa frase. Nelle sue varie forme, la ritroviamo per la prima volta nella bibbia, quando Adamo ed Eva mangiano il "Frutto della conoscenza del bene e del male": raggiungono la conoscenza e perdono il diritto al paradiso.

Forse andare alla ricerca di quel "frutto proibito" è davvero un peccato contro Dio, o forse è solo un gesto sconsiderato, che può portare chi lo compie alla pazzia...

La paura... la paura diventa una compagnia costante: nessuno comprende questo terrore che a tratti mi invade, quest'ombra oscura che mi sovrasta. Nessuno la vuole vedere ma è sopra tutti noi. E' la Morte: questa entità magica e misteriosa, è con noi ogni passo, divide ogni nostro momento dall'instante in cui veniamo al mondo, un'oscura presenza che avvolge la nostra vita.

Eppure la maggior parte delle persone sembra non vederla: sembra inconsapevole della sua esistenza e continua a vivere come se la vita dovesse proseguire per sempre... Rimanda, rinuncia, "no dai, adesso non è il periodo giusto", "tranquillo, avrai altre opportunità", "andremo l'anno prossimo"...

Ma io, come posso? Io la Morte l'ho vista: era accanto a me quel giorno, in quel letto di ospedale. Era sempre stata con me, e io non l'avevo mai vista, nessuno di noi la vede mai. Eppure, se anche solo una volta la guardi negli occhi, poi non te ne liberi più: è là, ed è impossibile non vederla, è impossibile sfuggirle. Seguiamo pure vite sane e rigorose, facciamo attenzione al fumo, all'alcol, guidiamo con prudentza  e abbassiamo il colesterolo.

Lei ci strapperà comunque via tutto, un pezzo alla volta o tutto insieme in un solo colpo: tutto ciò che abbiamo, lo perderemo. E' una legge eterna ed inviolabile...

E così ho capito, l'immenso valore racchiuso in ogni singolo istante della mia vita: ogni momento di felicità e salute, sono davvero un dono infinito e prezioso, da vivere fino in fondo. Perché, per quante preghiere e lacrime produrremo, un istante perduto è perduto per sempre; ogni istante passato a soffrire passivamente, è un istante gettato.

La sofferenza passiva è la sofferenza fine a sé stessa: quella che ci fa stare immobili. La sofferenza attiva invece, è quella che proviamo durante una prova, la fatica che compiamo per superarla, la dura battaglia che ci porterà ad essere, forse felici, ma sicuramente vivi. La vita è lottare, la vita è combattere, la vita è gioire, anche soffrire certo: ma mai immobili, mai pentiti, mai affogati da rimorsi, paure e dolori. Quello non è vivere.
E ogni volta che vedo una persona immobile, perché ha paura di esprimere ciò che ha dentro, perché soffre per un amore perduto o perché la vita non è perfetta, io vedo nei loro occhi, gli stessi occhi di quella Signora Oscura che mi guardava nell'ospedale. Vedo la morte dentro di loro; sono morti e non ne sono consapevoli.
Vedo molta gente che soffre, ma combatte: combatte contro le sue pene, combatte per restare viva, per gioire di ogni piccolo momento che può esserci di gioia all'interno della sofferenza. Li vedo sorridere e lottare: li vedo vivere e penso che anche io voglio essere così.

Non ha senso aver paura della morte, essa è inevitabile: ma ha senso esserne consapevoli ogni momento, perché questo da più valore e più senso a tutta la nostra vita.

E' per questo che mi sento così: ho paura, ansia, sono consapevole delle mie azioni e delle loro conseguenze.

Eppure, nonostante la paura, non mi fermerò:
perché così ho scelto,
perché così
vivo.


sabato 26 novembre 2011

Essere o apparire

Non è disegnando le ali ad un bruco, che questo diventerà una farfalla. Non c'è forza o imposizione, che possa mettere fretta alla vita: essa scorre ignara del nostro ego. Eppure, la farfalla è lì, è già presente, basta saper attendere. Dobbiamo lasciar maturare ciò che abbiamo dentro, fino a diventare ciò che in realtà già siamo.

Quante volte vorremmo farci vedere diversi da ciò che siamo, ci crediamo bruchi e ci disegnamo le ali per sembrare farfalle e farci così ammirare. E pensare, che se solo guardassimo dentro noi stessi, al proprio io così spesso messo a tacere, capiremmo di essere già farfalle. Non dobbiamo disegnarci ali finte per sembrarlo agli occhi degli altri, non dobbiamo colorarci e atteggiarci, così da ricevere l'approvazione del mondo.

Dobbiamo semplicemente raggiungere la nostra maturazione, con calma, con pazienza. Accettare noi stessi, conoscere noi stessi, permettere alla farfalla che portiamo dentro di liberarsi dall'involucro in cui l'abbiamo rinchiusa...

Siamo esseri meravigliosi, ma viviamo nella nostra prigione di paure, di pregiudizi, di odio e rancore. Un bozzolo che utilizziamo per proteggerci, ma che ha l'unico effetto di nascondere e incatenare il nostro vero io.

Pensiamo che la rabbia ci protegga, confondiamo spesso la prudenza con i pregiudizi, viviamo il dolore come un'ingiustizia e non come quello che è: un insegnamento.

E doloroso nascere, è doloroso trasformarsi: e così, quando i colpi della vita si abbattono su di noi, piangiamo per il nostro involucro ferito. Anzi, cerchiamo di rinforzarlo, di ricrearlo, maledicendo la vita che ce lo sta distruggendo.
E non ci rendiamo conto, che proprio quei colpi, proprio quel dolore, stanno distruggendo invece solo il bozzolo che ci intrappola.

E noi? Noi piangiamo sui frammenti della nostra prigione, cercando disperatamente di rimetterli insieme. E' rassicurante la nostra prigione, ci protegge, ci consola: come possiamo accettare che venga distrutta?

Invece quanto fa paura, volare liberi tra le intemperie, essere padroni della propria rotta e del proprio destino...

Non riusciamo a renderci conto: non sappiamo di essere farfalle. Malediciamo gli insegnamenti della vita e non ci accorgiamo che, un pezzo alla volta, quegli insegnamenti stanno distruggendo le sbarre che ci hanno intrappolato; quegli insegnamenti ci stanno liberando.

Quegli insegnamenti ci stanno insegnando a volare.

venerdì 25 novembre 2011

Utopia

Oggi ho chiuso gli occhi e ho visto un mondo...

Ho visto un mondo in cui tutti si vogliono bene.
I torti vengono perdonati, gli insulti accantonati,
gli atti di accusa sono rimpiazzati da caldi sorrisi.

La pazienza sostituisce la rabbia,
la tolleranza sostituisce l'astio,
l'umiltà smussa il dolore provocato dall'ego.

Ho visto un mondo libero,
in cui non si ha paura di mostrarsi deboli,
in cui essere significa più che apparire.

Ho visto un mondo in cui nessuno porta maschere,
ognuno vede sé stesso e gli altri senza trucchi e finzioni.

Ho visto un mondo che non si regge sul giudizio,
ma sull'Amore...


Freddie Mercury

A 20 anni dalla sua scomparsa, non si può non ricordare un mito della musica.

"Non voglio cambiare il mondo, lascio che siano le mie canzoni ad esprimere le sensazioni e i sentimenti che provo ed ho provato. Essere felici è il traguardo più importante per me, ora, e quando sono felice il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori che ho commesso e tutte le relative scuse saranno da imputare solo a me: mi piace pensare di essere stato solo me stesso... Adesso voglio solamente avere tutta la gioia e la serenità possibili, e vivere quanta più vita possa, per tutto quel poco tempo che mi resta da vivere."

Farrokh Bulsara alias Freddie Mercury (nella sua ultima intervista)


Il nostro cuore è un palazzo

Il mio maestro di arti marziali diceva sempre: "Il cuore deve essere un palazzo e non una fortezza"
In un palazzo ognuno è benvenuto: viene accolto alla tua tavola, gli si prepara il pranzo, lo si ospita.
In una fortezza nessuno è benvenuto: tutti vengono trattati con sospetto, perquisiti e tenuti sotto controllo.
In un palazzo, l'ospite maleducato, viene semplicemente messo alla porta e non più ammesso.
In una fortezza viene passato per le armi e gettato in prigione.
Un palazzo è certo più esposto, ma le sue porte e finestre sono aperte, entrano la luce e la gioia.
Una fortezza è più protetta, ma cosa difendono le sue mura? Solo tristezza e rabbia.
Il Signore ci da le batoste nella vita, non perché ci vuole del male, ma perché intende impartirci una lezione. E le persone che ci fanno del male, di fatto, non sono altro che gli strumenti che lui usa, per impartirci questa lezione.
Le lezioni di Dio servono per abbellire il nostro palazzo, non per trasformarlo in una fortezza. Se un ospite del tuo palazzo si è comportato in modo sgarbato o offensivo, accompagnalo garbatamente alla porta, non passarlo per le armi come in una fortezza.
All'interno del tuo palazzo, sei un Signore paziente e tollerante.
All'interno della tua fortezza, non sei altro che un Carnefice.
Come vedi, l'ospite scortese è sempre lo stesso: lo strumento di Dio non cambia, ma il modo in cui lo trattiamo fa la differenza tra essere i Signori di un bellissimo palazzo oppure gli Aguzzini di una brutta fortezza.
Immagina ora un visitatore, pieno di saggezza, bontà e doni preziosi: dove entrerà più volentieri? Nel palazzo o nella fortezza? Al messaggero di Dio, che viene a portare pace, la fortezza oppone porte sprangate e sguardi ostili, il palazzo invece porte aperte, luce e gioia. Dove entrerà il messaggero di Dio a portare i suoi doni? Dal Signore saggio e paziente del palazzo o dal rude Aguzzino della fortezza? Nel secondo caso, non sarebbero sprecati i doni?
Per lasciare che i messaggeri di Dio portino i loro doni, i nostri cuori devono essere dei palazzi pieni di luce e non delle fortezze chiuse e terribili. Solo così, potremo ricevere i doni di Dio.

Viva la musica

Ogni persona è come uno strumento musicale.
Ognuno ha il suo modo corretto di essere suonato. Non si può suonare una chitarra come se fosse un tamburo e viceversa.
 
Ogni persona, così come ogni strumento, ha il suo modo di essere suonato. Se si pretende di estorcere la "musica" dalla persona, ne otterrai solo rumori orrendi. E si sarà portati a pensare che quella persona sia una brutta persona.
 
Ma se suono la chitarra come un tamburo, posso forse dire che la chitarra è un brutto strumento perché non fa un bel suono se la percuoto, invece di pizzicare le sue corde con dolcezza?
La chitarra mi darà la sua musica meravigliosa solo se saprò come suonarla.
 
E per le persone è lo stesso. Ogni persona ha in sé una meravigliosa musica: bisogna solo avere la pazienza di sapere come suonarla. E non giudicarla, solo perché non fa una bella musica se la percuotiamo come un tamburo.
 
 

giovedì 24 novembre 2011

Joker

Il Joker non è un essere,
è un "non essere".

Non da giudizi, non impone etichette, non cerca di catalogare le persone per tipologie e comportamenti.
Mette la propria libertà sopra ogni cosa e rispetta in tutto e per tutto la libertà degli altri.

Non pretende di essere perfetto, né lo vuole essere: è bello essere imperfetti e molto meno noioso.
Non pretende la perfezione degli altri: per lo stesso motivo.

Non ha bisogno di credere in Dio, ma nemmeno di negarlo a tutti i costi.
Non appartiene a nessuna fede, seppure le rispetti tutte.
Non appartiene, né si schiera con una o l'altra parte. Si batte per un'idea se la ritiene giusta, chiunque sia stato a proporla.

Non odia nessuno e ama tutti: non ferisce, se non per difesa, non ha bisogno di vendette e punizioni, ma di buon senso.
Non invidia gli altri per quello che hanno, non si dispiace se qualcuno ha successo, non piange per ciò che non possiede.
Vive e agisce per esaudire la propria vita e i propri desideri.

Non è sempre facile stare al suo fianco: il Joker è uno spirito libero, slegato da ogni regola e convenzione.
Non lo si può collocare, non lo si può etichettare, non si può mai sapere quando si manifesterà, proprio come il Joker delle carte.
Non gli si può dare un ruolo preciso, appare e scompare, muta forma, è incoerente, non del tutto bugiardo, ma non del tutto sincero.
Non può essere catalogato, descritto, studiato, capito.
Non gli si può dire: "Questo è bene. Questo è male" in quanto non catalogando, non riesce a separare questi concetti.
Non ha apparenti capacità in qualcosa, non viene riconosciuto, è spesso sottovalutato. Ma riesce a proseguire dove tutti gli altri si fermano.

Per questi motivi, il Joker è spesso solo... eppure non è mai davvero solo.

Non si può capire un Joker, ma solo accettarlo.
Non lo si può prevedere, in quanto agisce secondo regole sconosciute.
Non si può dominare, in quanto ha un concetto di libertà tutto suo.
Non si può ingannare, perché non si può mentirgli.
Non si può ferire, ma solo uccidere.

Questo è il Joker.
Se la domanda è "Essere o non essere", il Joker sceglie di "Non essere"

Io non sono