mercoledì 30 novembre 2011

La teoria del Cerchio

Solitudine... è questa una parola terribile, quella che temo maggiormente. La salute, certo, un buon lavoro, certo, avere valori, certo. Eppure, di fronte alla solitudine, tutte queste cose perdono di senso.

Ma che cos'è la solitudine? Un po', credo, lo sappiamo tutti. Io in genere la vedo come un mostro crudele, fatto di ombre: si insinua dentro di noi e lentamente ci consuma. E non importa che magari siamo in compagnia, quindi non fisicamente soli: la solitudine ti assale anche in mezzo a centinaia di persone.

Accade questo... accade, perché non tutte le persone hanno la chiave per il nostro cuore. E possiamo avere centinaia di amici, uscire, essere promiscui, fare quello che ci pare, ma se non incontriamo qualcuno che ha la chiave giusta... ci sentiamo soli, disperatamente soli.

Ho deciso di chiamare questo meccanismo, Il Cerchio.

Il Cerchio è lo spazio vitale, il nostro spazio emotivo. Solo chi ha la chiave giusta può entrare nel nostro Cerchio. Ecco che, nei momenti in cui ci sentiamo soli, il nostro Cerchio è stretto, chiuso addosso a noi. Nessun altro, eccetto noi, è al suo interno.

E allora sono due le possibilità: o arriva qualcuno, con la chiave giusta e apre il nostro Cerchio... oppure siamo noi stessi a doverlo aprire.

Già, perché la chiave del nostro Cerchio, solo noi l'abbiamo... E se ci sentiamo soli, forse vale la pena ingrandire un po' il Cerchio. Allargarlo, un pezzo alla volta... E via via che diventerà più largo, sempre più persone ne verranno abbracciate.

Il Cerchio si può allargare in tanti modi: iniziativa, amore proprio, fiducia, un pizzico di coraggio...

Ma certo che siamo noi i primi, a dover ritrovare la chiave giusta. Se non lo facciamo noi, chi altro potrà?
Cerchiamo la nostra chiave, apriamo il nostro Cerchio e così troveremo in primo luogo noi stessi. E solo allora potremo allargare il Cerchio e includere altre persone. E poi allargarlo, e allargarlo ancora. Finché non abbraccerà il mondo intero!

Io l'ho chiamato Cerchio, ma c'è chi lo chiama... Cuore...


martedì 29 novembre 2011

Il nostro giardino

Oggi mi guardo allo specchio e... non mi piace quello che vedo.
 
Lo specchio non riflette solo il nostro aspetto, riflette la nostra anima, riflette il nostro umore.
E mi ritrovo a osservare, osservo la mia vita ed essa, improvvisamente, mi appare come un giardino mal curato.
 
Già, un giardino, perché la nostra vita è questo. Un giardino, da curare ogni giorno, da accudire...
 
I bei fiori, le piante rigogliose, gli alberi, sono le cose belle della nostra vita: le erbacce, i rovi, le piante infestanti, sono le cose brutte della nostra vita. 
E noi siamo i contadini, incaricati di prenderci cura di questo splendido giardino.
Immagino questo contadino: è sereno, in pace... Osserva il giardino senza giudizi, ma attento al lavoro che deve svolgere.
 
Odio, invidia, rabbia, paura... queste sono le erbacce che invadono il nostro giardino. Esse crescono e proliferano nell'incuria: se non vengono estirpate, si moltiplicano, si diffondono e rovinano e oscurano anche le piante belle, fanno morire e avvizzire i nostri fiori.


Allora il contadino, con fatica, con pazienza, estirpa una ad una tutte le erbacce. Non impreca contro Dio e contro la vita, non si arrabbia, né si sente vittima delle ingiustizie. Semplicemente si mette all'opera, perché né rabbia, né odio, né paura, fanno crescere nulla. Non si coltiva, né si raccoglie nulla, con i cattivi sentimenti.
 
Il contadino estirpa le erbacce e si prende cura di ogni pianta, con amore. Perché l'Amore fa crescere le cose belle, le rende uniche e meravigliose; dall'amore nascono e prosperano tutte le cose belle...
 
Certo costa fatica l'amore, costa impegno e pazienza. Esso deve essere applicato con costanza, ogni giorno, per rendere più bello il nostro giardino e eliminare le erbacce che vi si annidano. Quanto è più facile, sedersi a piangere, lamentarsi, lasciarsi invadere dalle erbacce. Poiché è questa la grande forza del male... basta ignorarlo, perché metta radici e distrugga il nostro giardino.
 
Il buon contadino è attento: egli conosce ed ama ogni fiore del suo giardino. Ogni giorno se ne prende cura, perché sa che solo così potrà godere della sua bellezza. E se un giorno la tempesta devasta i fiori e spezza le piante, egli certo piange, ma non potrà mai odiare il suo giardino: con pazienza ripianterà i fiori, taglierà i rami spezzati, ricostruirà il suo giardino un pezzo alla volta.
 
E allora penso che anche io voglio essere come quel contadino: voglio amare e curare la mia vita, ogni singola pianta e fiore che cresce in me. E quando sentirò cattivi sentimenti in me, paura, rabbia, disperazione, voglio saperli estirpare, proprio come le erbacce in un giardino. Perché i cattivi sentimenti sono facili, ma non ne nasce nulla, non portano a nulla, il nostro giardino ne è solo rovinato.
 
Chi venisse a visitarlo, ne ricaverebbe solo tristezza... come potremmo insegnare e trasmettere l'amore in un giardino incolto e pieno di erbacce? Chiunque lo vedesse, si rattristerebbe: si convincerebbe che la vita è orrenda e non vale la pena di amare...
I buoni sentimenti invece, sono difficili, ma se li sappiamo coltivare con cura e amore, essi daranno buoni frutti e sarà la nostra vita intera a fiorire.

E allora, in quel giardino pieno di fiori, profumi, colori, potremo accogliere altre persone: essi vedranno come l'amore può rendere bella una vita e impareranno essi stessi a coltivarlo. Porteremo i cuori doloranti sui nostri sentieri alberati, ed essi ne trarranno sollievo; con candidi petali, rimuoveremo le lacrime di dolore dai loro occhi, cosicché essi possano vedere il posto meraviglioso in cui si trovano. E quando partiranno, avranno corone di fiori, buoni semi da piantare e soprattutto amore, da condividere e far fiorire. Finché tutto il mondo diventerà uno splendido giardino fiorito...


Pensiero

Agli amici che mi sono sopravvissuti, a coloro che mi hanno incrociato sulla strada, a chi ha condiviso con me anche un solo momento speciale... ognuno di voi si è preso un po' del mio cuore, un po' della mia anima, un po' della mia vita.

Lentamente mi consumo, velocemente mi consumo, come una candela accesa da una fiamma troppo forte: perché ogni sguardo e parola, ogni pensiero ed emozione che voi mi avete dato, ha alimentato un po' di questa fiamma, facendomi vivere più intensamente, e consumandomi più velocemente.
 

La vita è questo: un continuo consumare e consumarsi, un continuo piangere e ridere, ballare e crollare, ammalarsi e guarire, correre e barcollare, verso una destinazione ignota, verso una speranza, un'illusione, un amore o un ideale.
 
Immensamente insieme, immensamente soli, è questo il nostro destino: ci accompagnamo, forse per un tratto, ma poi le nostre strade si separano sempre.

La soglia del grande mistero del domani, la attraversiamo sempre soli: nei nostri sogni, nei nostri tormenti, non abbiamo altro che il grande vuoto che portiamo nel cuore, in cui la nostra voce riecheggerà senza sosta, fino a quando non smetterà di battere...
 
Terribile, meravigliosa vita: che ti da tutto e ti toglie tutto, eppure non ti lascia senza nulla.
Ricordi e nostalgia, speranze e voglie, rimorsi e rimpianti...
 
Non smetterò mai di interrogarmi sullo scopo di questo fenomenale tormento; non smetterò mai di chiedermi se ci sia uno scopo...
 
E scivola così un altro giorno: incertezze e paure, desideri e ambizioni. Sete di libertà e paura del dolore: e odio e amore..
 
 

lunedì 28 novembre 2011

Vivere e morire

Perché mi sento così? Ho la testa, confusa, piena di domande e dubbi.
E' come se mille voci parlassero in me tutte assieme, ognuna con la propria domanda, ognuna senza risposta.

Sono in fase di grande cambiamento, nella mia vita: un cambiamento così forte come non l'ho mai avuto e come non avrò forse più... e ho paura. Ci sono giorni, come oggi, in cui l'ansia mi assale: mi sento come un guerriero prima di una grande battaglia, dalla quale non sa se tornerà vivo. Il mio mondo antico si sta sgretolando, pezzo per pezzo e uno nuovo si sta formando al suo posto: migliore, peggiore, forse solo diverso, forse è solo il mio vero io, che dopo tanta prigionia viene alla luce.

Devo temere ciò che sono? Ciò che sto diventando? A volte, mi sento così stanco che vorrei solo chiudere gli occhi e dormire... Non vedere nessuno, non parlare con nessuno, non fare niente: come la bestia che si raccoglie immobile prima di un balzo, come l'aria che si fa densa, ferma e pesante, prima che si scateni l'uragano che spazzerà via ogni cosa.

In me ci sono così queste due forze: la paura del cambiamento e il desiderio, la volontà che mi spinge avanti. Una lotta furiosa, che a volte temo possa uccidermi. Eppure, io sento chiara la voce del mio cuore: sa cosa vuole, sa cosa fare e mi spinge inesorabile, come la voce di un'implacabile sirena, che mi chiama negli abissi del mio spirito e io sono costretto ad obbedire. Quanti a questo mondo, zittiscono quella voce e seguono le regole sicure e solide del vivere civile? Forse sarebbe meglio così, forse ragionare così mi eviterebbe molte sofferenze, fatiche, lacrime... e una parte di me lo vorrebbe. Una parte di me si batte furiosa per tenermi fermo, per impedirmi di lasciare che tutto vada in pezzi, per convincermi che a volte si deve sacrificare la propria felicità, in cambio di pace e tranquillità e di un vivere sereno.

Molte persone fanno questa confusione: confondono la serenità con la felicità. Ma sbagliano: mentre la prima l'abbiamo quando la nostra vita procede pacifica e tranquilla, la seconda la troviamo solo al termine di un'aspra lotta. Una lotta in cui forse abbiamo perso tutto, ma nella quale abbiamo rinnovato noi stessi; abbiamo distrutto il mondo, ma ne abbiamo creato uno nuovo. La felicità con il tempo e la pace si trasforma in serenità: per ritrovare la felicità, ecco che una nuova lotta ci travolge, ecco che nuovamente tutto va in pezzi e ancora rinasce per ricominciare.

Attraversare l'Inferno e, come Dante, "uscimmo di nuovo a veder le stelle".

Uscire... non si esce mai completamente dall'Inferno. Quando scendiamo nelle profondità oscure di noi stessi e scoperchiamo lati di noi, che forse sarebbero dovuti restare nascosti, allora non potremo mai più pensare di essere come prima. Ciò che ho visto dentro di me, nel buio della mia anima, mi segue costantemente. E' sempre con me, respira, mangia, parla, agisce... io sono quella parte oscura, così come sono la parte luminosa. Forse è così, forse siamo tutti incompleti e diventiamo veri solo dopo aver scoperto quello che abbiamo nelle remote profondità del nostro spirito.

"La conoscenza porta l'uomo alla perdizione": non ricordo chi abbia detto questa frase. Nelle sue varie forme, la ritroviamo per la prima volta nella bibbia, quando Adamo ed Eva mangiano il "Frutto della conoscenza del bene e del male": raggiungono la conoscenza e perdono il diritto al paradiso.

Forse andare alla ricerca di quel "frutto proibito" è davvero un peccato contro Dio, o forse è solo un gesto sconsiderato, che può portare chi lo compie alla pazzia...

La paura... la paura diventa una compagnia costante: nessuno comprende questo terrore che a tratti mi invade, quest'ombra oscura che mi sovrasta. Nessuno la vuole vedere ma è sopra tutti noi. E' la Morte: questa entità magica e misteriosa, è con noi ogni passo, divide ogni nostro momento dall'instante in cui veniamo al mondo, un'oscura presenza che avvolge la nostra vita.

Eppure la maggior parte delle persone sembra non vederla: sembra inconsapevole della sua esistenza e continua a vivere come se la vita dovesse proseguire per sempre... Rimanda, rinuncia, "no dai, adesso non è il periodo giusto", "tranquillo, avrai altre opportunità", "andremo l'anno prossimo"...

Ma io, come posso? Io la Morte l'ho vista: era accanto a me quel giorno, in quel letto di ospedale. Era sempre stata con me, e io non l'avevo mai vista, nessuno di noi la vede mai. Eppure, se anche solo una volta la guardi negli occhi, poi non te ne liberi più: è là, ed è impossibile non vederla, è impossibile sfuggirle. Seguiamo pure vite sane e rigorose, facciamo attenzione al fumo, all'alcol, guidiamo con prudentza  e abbassiamo il colesterolo.

Lei ci strapperà comunque via tutto, un pezzo alla volta o tutto insieme in un solo colpo: tutto ciò che abbiamo, lo perderemo. E' una legge eterna ed inviolabile...

E così ho capito, l'immenso valore racchiuso in ogni singolo istante della mia vita: ogni momento di felicità e salute, sono davvero un dono infinito e prezioso, da vivere fino in fondo. Perché, per quante preghiere e lacrime produrremo, un istante perduto è perduto per sempre; ogni istante passato a soffrire passivamente, è un istante gettato.

La sofferenza passiva è la sofferenza fine a sé stessa: quella che ci fa stare immobili. La sofferenza attiva invece, è quella che proviamo durante una prova, la fatica che compiamo per superarla, la dura battaglia che ci porterà ad essere, forse felici, ma sicuramente vivi. La vita è lottare, la vita è combattere, la vita è gioire, anche soffrire certo: ma mai immobili, mai pentiti, mai affogati da rimorsi, paure e dolori. Quello non è vivere.
E ogni volta che vedo una persona immobile, perché ha paura di esprimere ciò che ha dentro, perché soffre per un amore perduto o perché la vita non è perfetta, io vedo nei loro occhi, gli stessi occhi di quella Signora Oscura che mi guardava nell'ospedale. Vedo la morte dentro di loro; sono morti e non ne sono consapevoli.
Vedo molta gente che soffre, ma combatte: combatte contro le sue pene, combatte per restare viva, per gioire di ogni piccolo momento che può esserci di gioia all'interno della sofferenza. Li vedo sorridere e lottare: li vedo vivere e penso che anche io voglio essere così.

Non ha senso aver paura della morte, essa è inevitabile: ma ha senso esserne consapevoli ogni momento, perché questo da più valore e più senso a tutta la nostra vita.

E' per questo che mi sento così: ho paura, ansia, sono consapevole delle mie azioni e delle loro conseguenze.

Eppure, nonostante la paura, non mi fermerò:
perché così ho scelto,
perché così
vivo.


sabato 26 novembre 2011

Essere o apparire

Non è disegnando le ali ad un bruco, che questo diventerà una farfalla. Non c'è forza o imposizione, che possa mettere fretta alla vita: essa scorre ignara del nostro ego. Eppure, la farfalla è lì, è già presente, basta saper attendere. Dobbiamo lasciar maturare ciò che abbiamo dentro, fino a diventare ciò che in realtà già siamo.

Quante volte vorremmo farci vedere diversi da ciò che siamo, ci crediamo bruchi e ci disegnamo le ali per sembrare farfalle e farci così ammirare. E pensare, che se solo guardassimo dentro noi stessi, al proprio io così spesso messo a tacere, capiremmo di essere già farfalle. Non dobbiamo disegnarci ali finte per sembrarlo agli occhi degli altri, non dobbiamo colorarci e atteggiarci, così da ricevere l'approvazione del mondo.

Dobbiamo semplicemente raggiungere la nostra maturazione, con calma, con pazienza. Accettare noi stessi, conoscere noi stessi, permettere alla farfalla che portiamo dentro di liberarsi dall'involucro in cui l'abbiamo rinchiusa...

Siamo esseri meravigliosi, ma viviamo nella nostra prigione di paure, di pregiudizi, di odio e rancore. Un bozzolo che utilizziamo per proteggerci, ma che ha l'unico effetto di nascondere e incatenare il nostro vero io.

Pensiamo che la rabbia ci protegga, confondiamo spesso la prudenza con i pregiudizi, viviamo il dolore come un'ingiustizia e non come quello che è: un insegnamento.

E doloroso nascere, è doloroso trasformarsi: e così, quando i colpi della vita si abbattono su di noi, piangiamo per il nostro involucro ferito. Anzi, cerchiamo di rinforzarlo, di ricrearlo, maledicendo la vita che ce lo sta distruggendo.
E non ci rendiamo conto, che proprio quei colpi, proprio quel dolore, stanno distruggendo invece solo il bozzolo che ci intrappola.

E noi? Noi piangiamo sui frammenti della nostra prigione, cercando disperatamente di rimetterli insieme. E' rassicurante la nostra prigione, ci protegge, ci consola: come possiamo accettare che venga distrutta?

Invece quanto fa paura, volare liberi tra le intemperie, essere padroni della propria rotta e del proprio destino...

Non riusciamo a renderci conto: non sappiamo di essere farfalle. Malediciamo gli insegnamenti della vita e non ci accorgiamo che, un pezzo alla volta, quegli insegnamenti stanno distruggendo le sbarre che ci hanno intrappolato; quegli insegnamenti ci stanno liberando.

Quegli insegnamenti ci stanno insegnando a volare.

venerdì 25 novembre 2011

Utopia

Oggi ho chiuso gli occhi e ho visto un mondo...

Ho visto un mondo in cui tutti si vogliono bene.
I torti vengono perdonati, gli insulti accantonati,
gli atti di accusa sono rimpiazzati da caldi sorrisi.

La pazienza sostituisce la rabbia,
la tolleranza sostituisce l'astio,
l'umiltà smussa il dolore provocato dall'ego.

Ho visto un mondo libero,
in cui non si ha paura di mostrarsi deboli,
in cui essere significa più che apparire.

Ho visto un mondo in cui nessuno porta maschere,
ognuno vede sé stesso e gli altri senza trucchi e finzioni.

Ho visto un mondo che non si regge sul giudizio,
ma sull'Amore...


Freddie Mercury

A 20 anni dalla sua scomparsa, non si può non ricordare un mito della musica.

"Non voglio cambiare il mondo, lascio che siano le mie canzoni ad esprimere le sensazioni e i sentimenti che provo ed ho provato. Essere felici è il traguardo più importante per me, ora, e quando sono felice il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori che ho commesso e tutte le relative scuse saranno da imputare solo a me: mi piace pensare di essere stato solo me stesso... Adesso voglio solamente avere tutta la gioia e la serenità possibili, e vivere quanta più vita possa, per tutto quel poco tempo che mi resta da vivere."

Farrokh Bulsara alias Freddie Mercury (nella sua ultima intervista)


Il nostro cuore è un palazzo

Il mio maestro di arti marziali diceva sempre: "Il cuore deve essere un palazzo e non una fortezza"
In un palazzo ognuno è benvenuto: viene accolto alla tua tavola, gli si prepara il pranzo, lo si ospita.
In una fortezza nessuno è benvenuto: tutti vengono trattati con sospetto, perquisiti e tenuti sotto controllo.
In un palazzo, l'ospite maleducato, viene semplicemente messo alla porta e non più ammesso.
In una fortezza viene passato per le armi e gettato in prigione.
Un palazzo è certo più esposto, ma le sue porte e finestre sono aperte, entrano la luce e la gioia.
Una fortezza è più protetta, ma cosa difendono le sue mura? Solo tristezza e rabbia.
Il Signore ci da le batoste nella vita, non perché ci vuole del male, ma perché intende impartirci una lezione. E le persone che ci fanno del male, di fatto, non sono altro che gli strumenti che lui usa, per impartirci questa lezione.
Le lezioni di Dio servono per abbellire il nostro palazzo, non per trasformarlo in una fortezza. Se un ospite del tuo palazzo si è comportato in modo sgarbato o offensivo, accompagnalo garbatamente alla porta, non passarlo per le armi come in una fortezza.
All'interno del tuo palazzo, sei un Signore paziente e tollerante.
All'interno della tua fortezza, non sei altro che un Carnefice.
Come vedi, l'ospite scortese è sempre lo stesso: lo strumento di Dio non cambia, ma il modo in cui lo trattiamo fa la differenza tra essere i Signori di un bellissimo palazzo oppure gli Aguzzini di una brutta fortezza.
Immagina ora un visitatore, pieno di saggezza, bontà e doni preziosi: dove entrerà più volentieri? Nel palazzo o nella fortezza? Al messaggero di Dio, che viene a portare pace, la fortezza oppone porte sprangate e sguardi ostili, il palazzo invece porte aperte, luce e gioia. Dove entrerà il messaggero di Dio a portare i suoi doni? Dal Signore saggio e paziente del palazzo o dal rude Aguzzino della fortezza? Nel secondo caso, non sarebbero sprecati i doni?
Per lasciare che i messaggeri di Dio portino i loro doni, i nostri cuori devono essere dei palazzi pieni di luce e non delle fortezze chiuse e terribili. Solo così, potremo ricevere i doni di Dio.

Viva la musica

Ogni persona è come uno strumento musicale.
Ognuno ha il suo modo corretto di essere suonato. Non si può suonare una chitarra come se fosse un tamburo e viceversa.
 
Ogni persona, così come ogni strumento, ha il suo modo di essere suonato. Se si pretende di estorcere la "musica" dalla persona, ne otterrai solo rumori orrendi. E si sarà portati a pensare che quella persona sia una brutta persona.
 
Ma se suono la chitarra come un tamburo, posso forse dire che la chitarra è un brutto strumento perché non fa un bel suono se la percuoto, invece di pizzicare le sue corde con dolcezza?
La chitarra mi darà la sua musica meravigliosa solo se saprò come suonarla.
 
E per le persone è lo stesso. Ogni persona ha in sé una meravigliosa musica: bisogna solo avere la pazienza di sapere come suonarla. E non giudicarla, solo perché non fa una bella musica se la percuotiamo come un tamburo.
 
 

giovedì 24 novembre 2011

Joker

Il Joker non è un essere,
è un "non essere".

Non da giudizi, non impone etichette, non cerca di catalogare le persone per tipologie e comportamenti.
Mette la propria libertà sopra ogni cosa e rispetta in tutto e per tutto la libertà degli altri.

Non pretende di essere perfetto, né lo vuole essere: è bello essere imperfetti e molto meno noioso.
Non pretende la perfezione degli altri: per lo stesso motivo.

Non ha bisogno di credere in Dio, ma nemmeno di negarlo a tutti i costi.
Non appartiene a nessuna fede, seppure le rispetti tutte.
Non appartiene, né si schiera con una o l'altra parte. Si batte per un'idea se la ritiene giusta, chiunque sia stato a proporla.

Non odia nessuno e ama tutti: non ferisce, se non per difesa, non ha bisogno di vendette e punizioni, ma di buon senso.
Non invidia gli altri per quello che hanno, non si dispiace se qualcuno ha successo, non piange per ciò che non possiede.
Vive e agisce per esaudire la propria vita e i propri desideri.

Non è sempre facile stare al suo fianco: il Joker è uno spirito libero, slegato da ogni regola e convenzione.
Non lo si può collocare, non lo si può etichettare, non si può mai sapere quando si manifesterà, proprio come il Joker delle carte.
Non gli si può dare un ruolo preciso, appare e scompare, muta forma, è incoerente, non del tutto bugiardo, ma non del tutto sincero.
Non può essere catalogato, descritto, studiato, capito.
Non gli si può dire: "Questo è bene. Questo è male" in quanto non catalogando, non riesce a separare questi concetti.
Non ha apparenti capacità in qualcosa, non viene riconosciuto, è spesso sottovalutato. Ma riesce a proseguire dove tutti gli altri si fermano.

Per questi motivi, il Joker è spesso solo... eppure non è mai davvero solo.

Non si può capire un Joker, ma solo accettarlo.
Non lo si può prevedere, in quanto agisce secondo regole sconosciute.
Non si può dominare, in quanto ha un concetto di libertà tutto suo.
Non si può ingannare, perché non si può mentirgli.
Non si può ferire, ma solo uccidere.

Questo è il Joker.
Se la domanda è "Essere o non essere", il Joker sceglie di "Non essere"

Io non sono