martedì 20 dicembre 2011

Tutto sotto controllo

Oggi, mentre passeggiavo per la strada e pensavo come al solito alla vita, ho udito una bella musica e, automaticamente, ho fatto qualche passo di danza.
 
Bello o brutto non lo so, forse sono sembrato più simile ad un orso ammaestrato che a Roberto Bolle. E, appena me ne sono reso conto, mi sono subito ricomposto.

Per un qualche strano motivo, la musica ha aggirato le mie difese mentali e ha raggiunto una parte remota e sconosciuta della mia mente. Ho perso il controllo e ho semplicemente ballato, abbandonandomi alla musica.
Se qualcuno mi ha visto, avrà certamente pensato che sono un poco pazzo e sarà rimasto a debita distanza. Già, come ho potuto lasciarmi andare così? Come ho potuto perdere il controllo?
 
Ed ecco, che un pensiero mi ha folgorato. Nella vita mi capita alle volte di sentire della musica, ma quante volte mi controllo e quante invece mi abbandono ad essa e ballo, anche col rischio di sbagliare e apparire ridicolo?
 
Il mondo è una pista da ballo e io sono un ballerino. E non ha senso arrabbiarsi, non ha senso pensare "se avessi fatto", oppure "voglio fare". C'è la musica, c'è la pista, può essere bella o può essere brutta... ma io devo solo ballare.
 
Abbandonarmi al ritmo, staccare la mente cosciente e lasciarmi trasportare.
Ci sono musiche e balli che bisogna fare in coppia: o in gruppo. E allora bisogna abbandonarsi l'un l'altra. Abbracciarsi, portare o lasciarsi portare. Il ballo è puro, non può mentire, si può solo essere l'uno per l'altra e si prosegue insieme finché c'è musica, finché c'è affiatamento e passione.
La vita è questo: ballare, lasciarsi trasportare, perdere il controllo.

Perché sarò sembrato ridicolo, sarà sembrato fuori luogo, ma quanto sono stato bene nell'abbandono di quell'attimo in cui ho perso il controllo.

 
Io sono ossessionato dal controllo: voglio ad ogni costo controllare l'incontrollabile. Il futuro, i sogni, gli amici, il tempo, gli amori... Ho illusioni, paure, guardo alla mia vita con terrore, tenendo aperti mille occhi, poiché nulla sfugga al mio controllo.
 
In fondo, finché terrò radicata in me la certezza che la mia felicità dipenda dall'esterno, non riuscirò a staccarmi dal mio bisogno di controllo.

 
Progetto forse di farmi una vita con una persona: è giustissimo, bisogna inseguire e perseverare in questo sogno. Ma se lego la mia felicità al raggiungimento di tale sogno, se anzi mi spavento che tale sogno non possa realizzarsi, ecco che il bisogno di controllo sopraggiunge. E l'abbandono, l'amore, vengono meno. La persona che ho accanto "deve" fare parte di questo sogno: deve perseguire con me la mia meta. Dimentico l'amore per la persona e lo sostituisco con l'ossessione del mio sogno, del mio progetto. Amo di più la mia illusione, della persona che la rappresenta. E come potrei fare altrimenti? Accettare e amare quella persona, significherebbe amarla e accettarla al di là delle sue scelte. Perdere il controllo di quella persona, significherebbe che questa può abbandonare il mio sogno e le mie illusioni. E come posso fare ciò, se il mio sogno così importante ne viene distrutto?
 
Illusioni... io sono ossessionato dal controllo, ma l'unica cosa che controllo sono le mie illusioni. Il controllo che io esercito su quella persona, fa uso del senso di colpa, dell'imposizione, del blandimento, della pietà, del ricatto perfino: esaudirò ogni richiesta, sarò pronto ad ogni rinuncia, purché il mio sogno rimanga intatto. L'illusione deve essere mantenuta, ad ogni costo... ma sono comunque illusioni, su cui non ho alcun controllo, né potere, poiché l'altra persona può decidere nonostante tutto di intraprendere la sua strada, com'è giusto che sia.
 
Ed ecco che la mia illusione è stata infranta e io soffro. Soffro perché sono costretto a vedere il mondo per quello che è, anziché come appariva nel mio sogno. E invece di capire ciò e imparare ad amare le persone e la vita con i loro errori e le imperfezioni, provo rabbia e risentimento, per le persone e per gli eventi che non hanno voluto collaborare alla creazione del "mio" sogno. 
La mia mente decide una strada, ma se lungo il cammino accadono eventi che mi spingono a deviare, che perturbano il sogno che mi ero prefissato, provo dolore, rabbia, sconcerto... Ho perso il controllo, l'illusione del controllo, il controllo dell'illusione. Il dolore deriva semplicemente dal rifiuto sentire ed interpretare la musica del mondo e della vita. Trovare la gioia in un evento che sembra brutto, vedere che non vi sono punizioni, ma solo doni. Ballare la vita.
 
Invece io piango, mi dispero, smetto di ballare, rifiuto di abbandonarmi. Questo non è ciò che volevo io. E non mi rendo conto che se ciò che io voglio mi venisse dato senza alcuno sforzo, non maturerei e conoscerei solo poche cose del mondo. Le sconfitte, i cambi di rotta, le disavventure, mi parlano di me stesso: quante altre cose mi fanno vedere e conoscere! E se mi lasciassi travolgere dalla musica, scoprirei che ci sono altre mille cose da desiderare oltre alle cose che mi ossessionano, che ci sono mille vite da vivere, oltre a quella che mi ero fissato, che ci sono mille piaceri e gioie da raccogliere, oltre a quelle che speravo di raccogliere sulla mia strada. A questo servono le batoste, a infrangere la scatola, il guscio che mi conteneva e farmi vedere le meraviglie del mondo. A questo serve la musica, a farmi ballare la vita. 
Ma io non mi rendo conto, non capisco. Io giudico, piango, protesto. Non sento musica, non sento abbandono. La vita non mi ha insegnato nulla.
La prossima volta, invece di abbandonarmi, cercherò semplicemente di avere un controllo migliore.
 
Il controllo delle mie illusioni...

 

mercoledì 14 dicembre 2011

Il tema di oggi è la paura...

La paura è ciò che regola la nostra vita, anzi, possiede la nostra vita, è la nostra vita. Smettiamo di essere "io" e diventiamo qualcos'altro... diventiamo la nostra paura.
 
La nostra paura ci fa scegliere, la nostra paura ci consiglia, la nostra paura mangia, vive, respira per noi... Spesso lo chiamiamo buon senso, altre volte prudenza, altre volte "alte e divine regole morali". Sono alcuni dei nomi che la paura da a sé stessa... perché abbiamo paura perfino di ammettere di avere paura.
 
Abbiamo paura di lasciare il lavoro, abbiamo paura di essere giudicati, abbiamo paura di muoverci, abbiamo paura di interessarci, abbiamo paura di esprimerci, abbiamo paura di amare...
 
Lo stesso giudizio, buono o cattivo, che diamo di noi stessi, è un'espressione della paura: "grasso, bello, pigro, capace, stupido, folle". Il giudizio è l'etichetta che la nostra paura da a ciò che ci circonda. La nostra paura diventa i nostri occhi e col giudizio, diventa la nostra irreale realtà.
 
Già, la paura fa apparire reale ciò che è irreale. In primo luogo chi e cosa noi siamo.
Non siamo il nostro lavoro, la nostra macchina, il nostro frullatore, il nostro pieno di benzina, il nostro cellulare. Eppure, quanto tempo dedichiamo di più a queste cose, anziché alle cose che siamo davvero? Ci preoccupiamo del nostro corpo, ci preoccupiamo del vestito, ma quando curiamo il nostro corpo e il nostro vestito, lo facciamo amandoci o lo facciamo giudicandoci?
 
Perché lo facciamo? Per paura... paura di essere davvero ciò che siamo e sentiamo. Perché un giorno abbiamo smesso di amare noi stessi, per adattarci ad un mondo che ci terrorizzava.
 
Chiamiamo superfluo ciò che è essenziale: la ricerca di noi stessi, la realizzazione dei nostri sogni e interessi, sono il "di più", gli hobbies, le cose da fare nel tempo libero che non abbiamo.
 
E chiamiamo essenziale ciò che invece è superfluo: i soldi per comprare inutili cose superflue, sicurezza e stabilità (economiche ed emotive) che sono pure illusioni, il lavoro, l'apparenza che abbiamo agli occhi degli altri.
 
E mentre coltiviamo con tanto impegno il superfluo, tutto ciò che siamo davvero resta nascosto: la paura ci fa restare nascosti. Mostriamo al mondo e agli altri ciò che gli altri e il mondo giudicano giusto. E così, non ci conosciamo e, men che meno, ci conoscono gli altri e, ancora meno, conosciamo gli altri...
Come si può amare in questo modo? Non sappiamo chi siamo, come possiamo amarci?
Conoscere sé stessi significa amare sé stessi, giudicare sé stessi significa odiare sé stessi.
E vale così per noi, come per tutto ciò che ci circonda, cose, persone, eventi.
Noi siamo perfetti, puri, sognamo e ci lasciamo trasportare da ali forti e potenti.
 
Non esiste nulla che non sia possibile, vediamo oltre ogni cosa. Tutto è magia, gioco, divertimento. Realtà e fantasia sono parole senza senso, in quanto esiste solo il nostro mondo perfetto e ciò che è reale, irreale, possibile o impossibile, siamo solo noi a deciderlo.
 
E' impossibile non avere paura, chi dice di non averla... mente a sé stesso. No... bisogna vederla la paura, bisogna riconoscerla, bisogna affrontarla. Noi siamo i nostri desideri, noi siamo i nostri sogni, noi siamo la nostra pazzia, il nostro amore, il nostro slancio impetuoso, il nostro entusiasmo, la nostra gioia.
Togliamo la paura dai nostri occhi e dal nostro cuore e vedremo che è davvero così.

venerdì 9 dicembre 2011

Io sono

1) Aiuto le persone tristi ad essere felici
2) Vivo le difficoltà e le supero, così da poter insegnare agli altri come fare
3) Lascio che le persone seguano la loro strada, senza trattenerle.
4) Allontano da me i pensieri negativi e riempio il mio cuore di entusiasmo.
5) Affronto la vita per quello che è, senza giudizio, ma con tanto Amore.
6) Io non ho paura.

Ecco ciò che sono, non domani, non tra un anno. Ciò che sono è qui, ora, io lo devo solo far esplodere attorno a me. Il buio mi impedisce di vedere ciò che ho attorno: la luce mi permette di essere ciò che sono.

Non esiste passato, non esiste futuro. La vita è ora.

"You can be anything you want to be.
Just turn your self into anything you think that you could ever be"
Innuendo - Queen

http://www.youtube.com/watch?v=BaCLWt0EVUM

martedì 6 dicembre 2011

Solo una storia

C’era una volta un uomo, un uomo che aveva sempre molta fretta.
Camminava veloce, per andare a lavoro: non alzava mai la testa dalla sua strada e, se qualcuno osava importunarlo, lo mandava via a male parole. Era molto infastidito dagli imprevisti, dalla gente troppo chiacchierona, da qualunque cosa gli facesse perdere tempo prezioso: il tempo si sa, è denaro.

Al mattino salutava in fretta moglie e figli: zittiva infastidito il bimbo che cercava di raccontargli delle sue scoperte da bambino. “Cresci!” gli diceva. “Non diventerai mai qualcuno, se perdi tempo per queste sciocchezze.”

E l’uomo continuò a correre e lavorare, ma, per quanto corresse, il tempo a sua disposizione non aumentava. Anzi, era sempre meno. Diventò sempre più inquieto, e nervoso. Sempre più irascibile con chi gli faceva perdere tempo. Allora corse di più…

Venne Natale… Che fastidio… che inutile perdita di tempo era il Natale. Andò di corsa in un negozio e si fece consigliare dalla commessa i regali più belli e costosi. Non aveva tempo per scegliere lui: e non avrebbe nemmeno saputo cosa prendere, non sapeva cosa piacesse davvero ai suoi figli. Non aveva tempo di ascoltare le loro sciocchezze da bambini…

E fu ancora più infastidito, quando si ricordò di aver promesso alla sorella di andare a trovare l’anziano padre alla casa di riposo. Che inutile perdita di tempo era. Suo padre ormai camminava a fatica e aveva solo pochi momenti di lucidità, nei quali gli raccontava vecchie storie inutili e noiose. Era curvo… aveva i capelli bianchi… una serie infinita di anni e vicissitudini impresse sul volto.

Una volta era stato un uomo forte, ma ora? Le gambe non gli permettevano più di correre e faticare: ora che non poteva guadagnare, che non poteva produrre, era diventato solo un fastidioso scarto, da gettare in un angolo. A cosa gli era servito correre e affannarsi tanto? Gettare via i suoi affetti, il suo tempo così prezioso? Cosa rimaneva ora di tutto quello che aveva fatto. Aveva accumulato soldi, case, auto e ora giaceva su una sedia abbandonato da tutti, senza quasi più sapere chi fosse.

Fu un attimo… prima che quelle parole entrassero nella mente dell’uomo. Guardando il proprio padre chino su quella sedia, ormai ombra di sé stesso, l’uomo si rese improvvisamente conto che stava semplicemente osservando sé stesso.

Era Natale… e lui non aveva tempo. Trovava fastidiosa la presenza dei suoi stessi figli e, per sopperire alla sua assenza, li copriva con regali costosi. E quando loro osservavano tristi la sua schiena, mentre se ne andava, pensava quasi con rabbia che erano degli ingrati: che cosa potevano volere di più, se non altri giochi nuovi?

Aveva gettato il suo tempo per avere soldi, soldi con cui comprare inutili cianfrusaglie per farsi perdonare dalle persone… farsi perdonare di non avere tempo per loro! Si credeva tanto importante, col suo lavoro e le sue responsabilità, ma stava solamente bruciando la sua vita, una banconota alla volta…

Era Natale… e suo padre stava a marcire solo in una stanza… perché lui non aveva tempo.
Presto quella sedia sarebbe stata vuota, avrebbe liberato il posto. Il posto per lui…

Non c’è finale a questa storia: forse quell’uomo prese suo padre e lo portò a casa e passò un Natale felice con la sua famiglia. Forse iniziò ad osservare ciò che gli succedeva intorno: non si arrabbiò più se qualcuno gli faceva perdere tempo, ma anzi scoprì che gli piaceva conversare, gli faceva bene al cuore.

E forse fu ancora più sorpreso, quando scoprì che, così facendo, il tempo non svaniva, anzi, aumentava. E che era tempo piacevole, passato in compagnia a coltivare affetti, gioire e, perché no, asciugare qualche lacrima.

Forse si stupì, quando portò i figli al negozio di giocattoli, ma questi abbandonavano inutilizzati i giochi e preferivano giocare con lui: niente luci elettroniche e robots di plastica. Era molto più divertente rincorrersi e fare la lotta. Costruire insieme l'albero di Natale e il Presepe. Leggere insieme una storia. E quanto si divertiva anche l'uomo, a riscoprirsi così bambino in quei giochi.

Forse cominciò ad ascoltare il padre, che era vecchio, ma aveva tanta saggezza da regalare.

Forse cominciò a capire che un sorriso vale più di una Ferrari e che il mondo è fatto dalle persone, non dal denaro.

Forse accumulò meno soldi, ma fu certamente, molto più ricco.

E’ solo una storia… parla di tempo, di denaro, ma soprattutto parla del giusto valore. Il giusto valore del tempo, il giusto valore della nostra vita. E’ una storia senza finale, perché il finale saremo noi a scriverlo… sempre se avremo tempo per farlo, sempre se avremo il tempo... di vivere.