lunedì 30 settembre 2013

Evviva i dott. ing.

Bistrattati, maltrattati, sottopagati, derisi, temuti ed odiati.
Pignoli, saccenti, arroganti.
 
Siamo proprio noi, i dottori in ingegneria.
 
Vi prego, non chiamateci ingegneri: non siamo iscritti all'albo tramite l'inutile-costoso-castoso-schifoso esame di stato, quindi non possiamo fregiarci di tale ditolo.
  
Siamo quella sottoclasse di persone che si sono spaccati la testa su formule, calcoli: gli smanettoni dei computer, gli appassionati di videogiochi-cellulari-cosineconmonitorluminosiingenere. Siamo quelli che creano quei fastidiosi giochini sui vostri smartphone, che inventiamo l'elettronica dei vostri tv al plasma... ma soprattutto... siamo quelli che in genere chiamate quando andate nei casini con i vostri adorati cuccioletti elettronici.
 
Proprio come il veterinario per gli animali, il dott. ing. è considerato il tutto fare dei pc.
- "Ho questo problema col pc."
- "Ehmbé?"
- "Ma come? Non sei ingegnere informatico?"
E qui casca l'asino: la risposta giusta sarebbe "No! Quindi tirati il cazzo."
e invece, siccome siamo dott. ing. e fondamentalmente siamo di indole buona, di solito rispondiamo qualcosa tipo.
- "Potrebbe essere questo, potrebbe essere quello, dai, passo a dare un'occhiata."
Che poi non è che ne sappiamo più di chi ha il problema: semplicemente abbiamo più pazienza. La sciocca pazienza di capire come funzionano le cose, la stupida volontà di esplorare cose che non conosciamo, l'immonda capacità di saper fare errori pur di imparare.
 
Dico che siamo di indole buona: lo siamo perché nonostante il mondo di fatto vada avanti grazie a noi, siamo spesso tacciati di insensibilità-noiosaggine-testardaggine-mente limitata (questa è proprio una puttanata stellare), sì ah, voi ingegneri (dott. ing. prego) siete tutti quadrati, vedete le cose solo in un modo, quando avete una cosa in testa bla bla bla... bene, quando avrai il pc a puttane e mi chiamerai disperato ti manderò un vaffanculo molto rotondo)
 
E invece no... forse perché la soddisfazione di sbattere in faccia all'amico (forse un filoso o un laureato in scienze della comunicazione o scienze politiche) è maggiore del piacere che si avrebbe a vederlo affannarsi contro la teconologia ribelle.
 
Non è grazie ai filosofi che posso scrivere questo mio blog. E' grazie ai tecnici. Non è grazie ai poeti che posso avere una vita facile grazie a motori, pannelli fotovoltaici, cacciaviti, acquedotti... E' grazie ai tecnici. Se vado dal dentista e invece di darmi una botta in testa, ficcarmi una tronchese in bocca e strapparmi un dente, mi fanno anestesia e mi trattano con trapani ultraveloci e ultrasottili, non è grazie agli oratori delle piazze, ma ai topi di laboratorio.
 
E' vero, abbiamo creato anche armi... ma non le usiamo. Non siamo responsabili, così come non lo siamo se internet viene usato dai pedofili. Non ci fossero le bombe e i caccia, le persone si sgozzerebbero e strangolerebbero con le mani... E se non ci fosse internet, i pedofili di certo non sarebbero meno crudeli...
 
Noi fabbrichiamo strumenti straordinari, abbiamo nel cuore l'avanzamento della condizione umana grazie alla tecnologia: poi l'uso che si fa di questi strumenti... ahinoi, non è nelle nostre mani.
 
E allora, quando attraverso il vostro pc, tablet, smart, quello che è... leggerete queste righe, pensate a chi ha messo mente e cuore, per permettervi di leggere queste sciocche parole. Quando telefonerete o messaggerete il vostro amore della vita, quando girerete la chiave nel cruscotto e la vostra auto andrà in moto, quando cucinerete nella vostra cucina 18 fornelli-4 lavelli-3 lavastoviglie alimentata da pannelli solari e gas prodotto da bio masse; quando il vostro amico dott. ing. accorre a casa vostra per sistemarvi quella cosa che proprio non vuole funzionare... siate riconoscenti e lanciateci un biscotto. In fondo, cosa sarebbe il mondo senza i dott. ing.?
 


giovedì 26 settembre 2013

Ho perso la fede

No, non è un discorso religioso.
 
E' il mio lato rancoroso, istintivo, primordiale a gridare oggi...
Quel lato con i denti scoperti, l'occhio incazzoso, ringhiante e sempre arrabbiato. Quello che prova paura, che vive di sensazione e se ne fotte di tutte le rassicurazioni, di tutti i "va tutto bene", "passerà", "ma di cosa hai paura?". Ma che cazzo ne so!
   
Sono assalito dai dubbi... Mi sveglio nel cuore della notte in preda all'angoscia: la tachicardia a mille. Mi sveglio e ho paura. Non so bene di cosa... ma ho paura, di ammalarmi di nuovo. Ho paura di fallire, anche se non so bene cosa; ho paura di cadere e non sapermi più rialzare. Ho paura che tutto si disfi tra le mie mani, senza che io possa farci nulla. Ho paura di soffrire... e non so se ho la forza di sopportarlo ancora.
  
Se fossi credente... direi che ho perso la fede. Fede in Dio, fiducia nella vita, quell'incrollabile sensazione che tutto andrà bene.
  
Ho paura che il mio cuore ceda... A volte lo sento martellare fino nelle orecchie e mi spavento, col risultato di sentirlo battere ancora pià forte.
  
Ho bisogno di uno stop... di mollare tutto quanto per un po'...
   
La mia salute mi perseguita da tutta la vita: polmoni, stomaco, ossatura e muscolatura. L'unico a non avermi mai tradito è stato il cuore. Adesso ho davvero paura...
  
Mi serve uno stop, fare qualche esame... la visita medica sportiva sarebbe l'ideale. Chiamerò l'IRV e la prenoterò...
  
Quello che mi manca davvero però è la motivazione: così tante battaglie... così tante sfide, vinte, perse, pareggiate... E? Ancora non sento di aver varcato quella soglia...
  
Ho il nervoso addosso: mi incazzo, tratto male la gente... E non so nemmeno il motivo...
O meglio, penso che avere questa paura attaccata addosso mi faccia diventare aggressivo...
   
Scrissi tempo fa della ricerca di Dio, le porte chiuse... Mi sento ancora così: cerco Dio e lui non mi risponde. O forse sono io che non so cercare, che ho chiuso le mie porte... Mi serve una direzione, mi serve sapere che c'è un perché, un per come, uno scopo: che tutta questa angoscia serve a qualcosa, a qualche disegno superiore.
   
Altrimenti, che senso ha? Quella fiducia che ho sempre cercato di mantenere, quell'ottimismo... per cosa?
 
Il mio malessere è fisico, ma anche spirituale: chiamo. Mi sono perso. Cerco risposte, cerco una strada, cerco un riparo... Il buio mi fa paura...



giovedì 19 settembre 2013

Senza forma ovvero l'essenza dell'essere

"La tua formazione sia senza forma. In questo modo anche le spie più abili non avranno nulla da scoprire, né un esperto potrà elaborare una straregia efficace contro di te. 
 
La forma che vince i molti, non appare ai molti. Dopo la vittoria, la mia forma sarà palese a tutti. Prima dell a vittoria, nessuno sa la forma che impiegherò. 
 
Perciò, la forma che fa conseguire la vittoria non è ben definita, ma muta ogni volta."

Sun Tzu, L'arte della guerra
  
Ebbene sì, nella mia "fase scacchi" ho riscoperto questo grande classico cinese: spesso criptico, può essere compreso appieno forse solo da chi è davvero illuminato. Fa riflettere che venga fatto leggere a tutti i più grandi manager delle maggiori multinazionali del mondo.
 
Nella mia microscopica esperienza del mondo, anche io voglio dare la mia interpretazione, di questi tre passi che ho ricopiato. L'essenza dell'essere, la purezza, l'assenza di forma. L'ho vista negli scacchi, ne ho parlato nel mio post di ieri: quel meccanismo complesso, apparentemente incomprensibile, che al momento giusto si scatena e diviene chiaro, in tutta la sua devastante potenza. Non vale solo per gli scacchi o per la guerra: è vero in ogni aspetto della vita: l'essere.
 
"Essere" è molto difficile... è qualcosa che va in profondità dentro di noi: fa soffrire come non possiamo neppure immaginare, è faticoso, difficile.  Cadere nel "fare", nel mentire a sé stessi, è molto molto facile...
  
Disciplina... Sembra incredibile, ma ci va una grande disciplina per essere, per abbandonare ogni forma e ogni "forma pensiero". Serve molta disciplina, perché serve molta forza, molta astuzia: serve così tanto esercizio, da rendere automatiche, naturali alcune cose. E dopo tanto studio, bisogna dimenticare ogni cosa...
  
Togliere la ruggine, la crosta, che ricopre l'opera d'arte che siamo, richiede studio, pazienza, sacrificio, abnegazione, chiarezza di spirito e di pensiero. E' emblematico il percorso delle arti marziali. In molti conoscono la sequenza dei colori delle cinture: cintura bianca, gialla, verde, blu, marrone, nera.
  
Non tutti conoscono il motivo, di questa sequenza: il novizio che si avvicina alla pratica è puro, bianco. La sua mente è una tela vuota, da riempire. Proseguendo nei gradi, questa tela viene "sporcata": sì, sembra incredibile, ma è questo il termine. Il praticante perde la sua purezza: la disciplina, la meccanicità e il ripetersi dei gesti, lo porta a limitare la sua mente, a restringere la sua conoscenza ai concetti. Molti concetti, certo, ma pur sempre limitati.
   
Ancora meno, infatti, non sanno che arrivare alla cintura nera non è il fine di un percorso di arti marziali. Quando si raggiunge la nera, si ha raggiunto il massimo di nozioni e capacità "fisico-tecnica": ma si è solo a metà strada. Raggiunta la cintura nera, inizia un nuovo percorso: un percorso che punta ad abbandonare quello che è il "fare" la disciplina e spinge verso "l'essere" la disciplina.
   
E' una parte meno fisica e più emotiva: si medita molto, si viaggia, si cambia. Cambiare, cambiare spesso gesti, percorsi: dopo una vita passata ad imparare l'arte, ripetendo centinaia di volte gli stessi movimenti, ecco che tutto ciò deve essere dimenticato.
   
Resterà, alla fine del percorso, solo ciò che è essenziale: solo ciò che è per noi. Solo ciò che conta. Sensazione, traspirazione, intuizione. La "non forma", il massimo livello spirituale di un guerriero. Potrà sorprendere che a quel livello, che viene chiamato "10° dan", il colore della cintura è nuovamente bianco. Il praticante non è più sporco, la tela è stata ripulita: non solo, può essere dipinta e ricancellata ogni volta. Certo non è il bianco dell'inizio: è il bianco che ha attraversato tutti i colori. Non è il finto paradiso dell'inconsapevolezza, ma il vero paradiso di chi ha visto l'inferno con i suoi occhi e ne è uscito purificato.
  
Ecco l'assenza di forma, l'essenza, l'illuminazione: dove le trappole della mente (paura, sfiducia, stanchezza, delusioni, illusioni) non trovano più spazio. Lo stato in cui si sente la "musica del mondo"...
 
La mia pigrizia è cronica; la confusione nella mia mente è tanta; la sfiducia nelle mie capacità... enorme.  Manco totalmente di disciplina... E ho 30 anni... che sono tanti, forse troppi. Non ho un maestro che possa guidarmi... né il tempo, la voglia, i soldi...

Ho davvero il coraggio... di abbandonarmi? Senza la forza e la disciplina necessarie, abbandonarsi significa andare incontro alla distruzione...
   

 

mercoledì 18 settembre 2013

Scacco Matto - La visione d'insieme

Ho ricominciato a giocare a scacchi: dico ricominciato perché ci giocavo, tanti anni fa.
No, non sono bravo, come non lo ero allora: tornavo a casa alle dieci di sera, dopo aver lavorato tutto il giorno in campagna. Non facevo nemmeno cena, mettevo a letto mia nonna, poi mi fiondavo al pc.
Internet, i videogiochi erano la mia compagnia: quando hai 17 anni e la tua vita sociale si riduce alle ore di scuola, in una classe di soli maschi, non esci la sera perché sei troppo stanco e comunque non ti trovi bene con i tuoi coetaniei... l'unica spiaggia è il mondo virtuale.
Mi ritrovai così a giocare a scacchi online: giocavo con persone di tutto il mondo, a volte alle 3 di mattina con Australiani o Californiani. Loro erano in ufficio, in orario di lavoro, sfatando il mito che siano solo gli Italiani a bighellonare.
Il mio gioco non era un gioco per vincere... avevo la tendenza al massacro: il gioco dove razionalità, capacità di analisi e fantasia si legano indissolubilmente, per me diventava solo un altro modo di sfogare la rabbia.
Il mio gioco non puntava al famoso scacco matto al Re avversario: era piuttosto orientato all'annientamento dei pezzi. Tutti i pezzi, quelli nemici, i miei... Perdevo quasi sempre, ma lasciavo dietro di me una scacchiera praticamente deserta, in un macabro desiderio di distruzione...


Molti anni sono passati da allora: smisi di giocare intorno ai 19 anni, quando cominciai con le arti marziali. Giocai ancora saltuariamente, ma le mie partite da allora si possono contare sulle dita di una mano. E all'improvviso ecco... torna la voglia, il desiderio di giocare.
 
Non sono più il diciassettenne rabbioso, che vuole solo massacrare lo schieramento avversario: ora sono più pacato, più spinto al successo della partita, più analitico. Tanto è che ho capito tutta una serie di cose del mio modo di giocare: cose che, con mio grande stupore, ho visto nella mia stessa vita, in ogni ambito della mia vita. La grande battaglia! Il Demone Nero di cui scrivevo nel post precedente. Lo scacco matto.
 
No, non prendetemi per scemo: non è che ho improvvisamente deciso di dedicare la mia vita agli scacchi. Ho però scoperto qual'è quella cosa, quell'immutabile e costante "cosa", che fa parte della mia vita da ché ne ho ricordo: quel muro invalicabile, quella porta chiusa e che sembra impossibile da aprire.
 
Rullo di tamburi!!
 
La grande sfida della mia vita si chiama "Visione d'insieme".
Sì... quando gioco a scacchi, quando lavoro, quando scrivo, quando combatto, quando metto in ordine la casa, quando mi alleno, manca la visione d'insieme. Pezzo per pezzo, individuo per individuo, paragrafo per paragrafo, esercizio per esercizio, tecnica per tecnica, so esattamente quello che faccio.
 
E' quando le mie azioni si devono innestare su un piano più ampio, che perdo letteralmente la bussola: e negli scacchi me ne accorgo. Posiziono torre e cavallo affinché si proteggano a vicenda, ma non so davvero perché: lo faccio perché quella configurazione è molto bella in quel momento, ma successivamente si rivelerà inutile o peggio ancora dannosa. Felice mi pappo la regina avversaria, convinto di aver segnato un grosso punto per la vittoria, ma il pezzo che ho spostato apre la strada all'inesorabile intreccio nemico, il mio Re finisce sotto scacco matto, facendo svanire la mia momentanea esultanza.
 
Non sono un leader, sono un Joker: l'ho sempre saputo. Preferisco ciò che si può fare o disfare a breve termine. Era il 2000 quando iniziai il mio romanzo... non l'ho ancora concluso. Ho scene favolose, commoventi, esaltanti in mente: scritte una ad una sono bellissime; ma non so come metterle insieme... La visione di insieme, quella cosa che, messo l'ultimo pezzo, ti fa esclamare "WOW!!!!"
 
Quel meccanismo perfettamente oliato, che aggiunta l'ultima vite si mette a funzionare quasi da solo... Quei pezzi sulla scacchiera, disposti in maniera apparentemente casuale, ma la cui combinazione si innesca proprio quando tu togli quel pezzo e da lì si scatena tutta la devastante strategia preparata con cura.
 
Forse per questo me la cavo meglio col poker: quello è a breve termine. Una mano dura quel minimo giro, poi si ricomincia: il risultato è lì, non è da strutturare. Gran parte del gioco si basa sulla pura fortuna e l'unica cosa che io devo metterci è il coraggio, la follia, la capacità di recitare.
 
La mia vita è un po' così: riesco a mettere fantasia, coraggio, follia in ogni mossa. Mi pappo felice la "regina" avversaria: eseguo una perfetta combinazione Cavallo - Torre... ma lo faccio così, senza una visione più ampia... Lo faccio solo perché in quel momento è bello così.
 
E quindi? Posso vivere così, da Joker, agendo a caso, guidato da istinto, coraggio, follia... Eppure questa tematica della visione di insieme mi picchia in testa. E' come se fosse un livello a cui devo salire: raggiungere un nuovo stato di percezione delle cose... Non una nuova trasformazione, come ne ho avute tante, ma La Trasformazione. Quella suprema, quella che mi trasformerà, quella che darà finalmente fuoco alle polveri della mia esistenza...
 
Non so bene cosa spero di raggiungere, quali sono le giuste mosse per la partita della mia vita... come ho detto, mi manca la visione di insieme...
 
 
Kasparov-Karpov, Mondiali di Siviglia, 1987 
Mancano 7 mosse alla fine della partita

venerdì 13 settembre 2013

Aiuto al russo sconosciuto

Questa era una bozza... la bozza più vecchia che ho.
La scrissi nel mese di marzo (il 13 per la precisione). Sono solo sei mesi fa... eppure da allora la mia vita è cambiata tantissimo.

Così, rivedendo le mie ormai 9 bozze di cose da scrivere, ho deciso di fare ordine partendo dall'inizio.

I fatti che vado a narrare accaddero il 10 marzo, una domenica: ero diretto a Milano, in treno e partendo dalla mia stazione di paese, in mezzo alle montagne, con l'anima in pace pensando ai mille mila cambi che mi sarebbero aspettati, notai questo signore. Gli diedi 55, 60 anni: era fermo di fronte alla macchina automatica dei biglietti, perché ovviamente la biglietteria era chiusa di domenica. Mi venne in mente che, essendo anziano, fosse in difficoltà con la diavoleria tecnologica di turno, così mi avvicinai e gli chiesi se gli serviva aiuto.

Non posso ricordare cosa rispose... perché mi parlò in russo: nella mia immaginazione rido da solo pensando che mi disse qualcosa tipo "Aiutammi! O ti spiezo in due!" col vocione da Ivan Drago. In realtà disse qualcosa che non capii e poi disse "Ravenna". (Lilly se mi leggi, chissà non sia dalle tue parti)

Usando un mix di Inglese, Russo, dialetto Valdostano, Italiano, Francese, Portoghese, Giamaicano e una versione collaudata ed internazionale di linguaggio dei verso-segni (tipo wrrooooom con le braccine distese per l'aereo, auf auf per il cane e mmmm con il dito sulla guancia per il cibo), riuscimmo un poco a comunicare.

Proveniva da un qualche luogo al di là degli Urali, nella steppa sconfinata, non capii bene da dove, ma decisi unilateralmente che proveniva dalla famigerata Kamtchaka del Risiko e subito mi stette simpatico. Era venuto dalle mie parti a trovare dei parenti (Russi in Val d'Aosta???), ma da quello che potei comprendere viaggiava molto.

Mi offrii di accompagnarlo fino a Milano, dove lo avrei messo poi in condizione di raggiungere Ravenna. Saliti sul treno parlai con il primo controllore, spiegandogli la situazione: trovai una persona gentile e comprensiva che fece il biglietto al mio nuovo amico russo, senza sovrapprezzo o rompere i coglioni.

Riprendendo la chiacchierata, utilizzando l'internazionale "ssshhhhhshshhh", tipo suono dello sciacquone, unito al gesto di qualcosa che scorre, unito al fatto che mi indicò la Dora capii che il suo lavoro aveva a che fare con i fiumi: nel frattempo arrivammo al primo cambio e al secondo controllore a cui dovetti spiegare di nuovo tutta la storia.

Costruiva ponti, un ingegnere: era appena tornato dal Vietnam. Sì, anche là sanno cosa sono i ponti...

Usando la locuzione verbale logica "tichitichitichitichi" e facendogli il gesto con le ditine, io gli feci capire che lavoravo con i computer. Grazie al cielo "Web" è una parola internazionale.

Infine, con altri gesti che qui non replicherò e con versi che solo noi uomini possiamo comprendere appieno, disquisimmo sulla differenza tra le donne mediterranee e quelle sovietiche, stabilendo infine un pareggio: mi perdonino le bellezze nostrane, giuro che mi sono battuto con tutte le mie forze per far prevalere l'impareggiabile fascino delle abitanti del mare nostrum, ma il mio amico russo aveva delle argomentazioni altrettando buone.

Passammo così il secondo cambio, il terzo controllore (incredibile, tutte persone gentili e comprensive) e proseguimmo finalmente dritti verso Milano, continuando con i nostri Brum Brum, Bau bau, Shhh interpretando a nostro modo il linguaggio dei segni e ridendo come cretini.

Mi spiacque molto non avere dietro i miei scacchi: sfidare un russo dal vivo, è un'esperienza che ancora mi manca...

A Milano, infine, mi assicurai di metterlo sul treno per Bologna, spiegando al quarto controllore gentile, di dirigerlo poi verso Ravenna. Ci salutammo con un abbraccio... mi disse anche il suo impronunciabile nome, ma non ebbi l'accortezza di farmelo scrivere o di scriverlo io: così tempo di veder chiudere le porte del treno lo dimenticai.

Oggi, andando a riprendere questa vecchissima bozza... ho ripensato a lui: a come a volte ci siano questi incontri che, in così poco tempo, possono darti così tanto.

Chissà ora dov'è... Mi piace immaginarlo in viaggio in giro per il mondo, a costruire ponti e parlare con altri sconosciuti a gesti e versi.



mercoledì 11 settembre 2013

Il Demone Nero

Ho deciso di chiamarlo così.

C'è qualcosa... un'entità, un potere, una presenza... E' costante, nella vita di tutti noi.
Quel qualcosa di indefinito, quell'ombra fumosa, indistinta, sempre ai margini del campo visivo. Invade i nostri pensieri, i nostri sogni...

Ho deciso di chiamare quella presenza "Demone Nero".
Demone, perché ci possiede. Nero perché è oscuro, nel senso di nascosto, di non razionale, molti non ne sono consapevoli.

Ognuno di noi ha il suo Demone Nero: è quella cosa costante, quel ripetersi di situazioni, diverse ma simili. Quella cosa costante nella nostra vita... è di fatto lo scopo per cui siamo venuti al mondo: quello per cui viviamo.

Il Demone Nero può essere un desiderio che non si riesce a raggiungere: uno stato d'animo o paura che non si riesce ad abbandonare. Una dipendenza, un lato del carattere che ci fa soffrire ma non riusciamo a cambiare: per qualcuno è il rapporto con i genitori e con i figli (che poi è la stessa cosa). Per altri la paura di non piacere, non piacersi, volere di più, di meno, altro...

Il Demone Nero è quella cosa che spinge a muoverti in un altro posto, ma una volta giunto lì, ti accorgi che ancora non va bene e riparti.

Passiamo la nostra vita a combattere il Demone Nero, a sfuggire il Demone Nero, a fingere che non esista. Scappiamo da lui, ma lui fa parte di noi e ovunque fuggiamo è là... Lo ignoriamo, ma non possiamo ignorarlo a lungo: prima o poi la sua presenza si fa troppo ingombrante. Lo combattiamo, ma è come cercare di colpire il proprio riflesso nello specchio: rompi lo specchio e pensi di averlo sconfitto, ma allo specchio successivo... lo vedremo, di nuovo là, in tutta la sua nera potenza, alle nostre spalle, con i denti e gli artigli piantati dentro di noi.

Non serve combatterlo, non serve fuggirlo, non serve ignorarlo... Regola la nostra vita, in ogni istante... E' quasi come se vivessimo per lui...

L'unico modo per farlo sparire è accettarlo: perché in fondo, quel Demone Nero non è niente altro che una parte di noi. E' la nostra grande battaglia, la nostra strada pericolosa e difficile verso l'illuminazione. E' colui che indica il nostro percorso... Forse non bisogna combatterlo, forse dobbiamo solo fidarci, lasciarci guidare... e all'improvviso sparirà.

Coloro che forse hanno raggiunto l'illuminazione sono proprio loro: non quelli che hanno imbrigliato o distrutto il proprio Demone Nero, ma coloro che lo hanno accettato, si sono alleati con esso. Hanno smesso di essere due entità in lotta e sono diventati Uno.

Demone Nero... il nostro più grande tormento, il nostro più grande dono...



ps: alla fine, rileggendo il post, mi rendo conto che è la stessa cosa del mio Joker. Il volto oscuro e quello luminoso, Ying Yang. Gira gira, dilla come vuoi, scrivo sempre le stesse cose, solo in modo diverso... Sarà questo il mio Demone Nero? Andare oltre? Abbandonare questa identità di osservatore della dualità della vita che mi piace tanto e mi fa scrivere? Sento che devo evolvere verso qualcosa di nuovo...

lunedì 9 settembre 2013

Ubriaco di vita

Non riesco a scrivere... Ho decine di cose da scrivere, post, pensieri, grandi regole di vita e di morte... ma...
Non ci riesco perché non posso filosofeggiare: sono, come si dice in gergo, "up".

E' come se avessi ricevuto una scarica di energia: e sono in preda ad un'euforia quasi isterica. Voglio vita, vivo, ma ne voglio di più.

Normalmente assaggio la vita, la gusto... ora invece voglio mordela, voglio abbuffarmi di vita! La sento pulsare nel mio cuore come il rombo di un mare in tempesta!

Non basta... non basta mai! A volte ho perfino paura che questo sentire, questo esplodere... mi possa uccidere talmente è forte!

Mi trattengo, respiro... conosco centinaia di metodi di meditazione e rilassamento... Ma la verità è che mi piace... mi piace questa follia... E non la voglio dissipare...

Ubriaco... è questa la parola che mi viene in mente: mi sento ubriaco. Non quell'ubriacatura che ti fa stare male e che non ti fa stare in piedi: quel tipo di ubriacatura euforica, che ti fa ridere come un coglione per qualunque cosa, che ti fa correre e saltare e ballare. Che ti impedisce di stare quieto e ti costringe a muoverti a espanderti a parlare a conoscere a toccare a baciare... quell'ubriacatura che toglie tutti i freni...

Ho 7 bozze di cose che vorrei scrivere, ma in questo stato... proprio non ci riesco... 



martedì 3 settembre 2013

Diamo a Martha quel che è di Martha

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e non cambia colore dei vestiti,
chi non parla e chi non conosce.

Lentamente muore chi evita una passione,
chi preferisce nero su bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che una serie di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza,
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita
di fuggire dai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge e chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Lentamente muore chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che esser vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
 
Martha Medeiros


In lingua originale:
http://niilismo.net/reflexoes/a_morte_devagar.php