mercoledì 30 ottobre 2013

Destino, scrittura, ribellione e racconto

Destino
 
Scrivo... una storia. Io scrittore sono Dio: ho potere assoluto e totale su ogni cosa. Decido la struttura del mondo, lo scorrere degli eventi, le caratteristiche dei personaggi: principali, secondari, comparse... buoni, cattivi.
 
Io sono il destino, quando scrivo: sono la forza dell'universo, del Karma. Una mia parola può stroncare una vita, cambiare le sorti, ribaltare e modificare ogni cosa. Pensavo non ci fosse alcuna forza, in un mio racconto, che potesse opporsi a me... pensavo.

E lui morì: mi basta scrivere questo e un personaggio sparisce. Anzi, non devo neppure scriverlo: faccio sì che il resto della storia prosegua, come se questo personaggio non fosse mai esistito e se io lo decidessi, nessun altro personaggio se ne stupirebbe. Tutto procederebbe normale... pensavo.

Pensavo... sì, è solo scrivere: creo un mondo, distruggo un mondo, decido io chi è buono e chi è cattivo, decido io chi vive e chi muore, decido io le sorti di interi popoli e nazioni. Io sono Dio. Pensavo...

Non vi possono essere personaggi che valgano più di me: io li ho creati. Ad alcuni ho dato il meglio, ad alcuni il peggio. Pensano quello che io dico loro di pensare, fanno quello che io dico loro di fare. Respirano perché io glielo concedo... Pensavo.

Scrittura

Scrivere... mi ha sconvolto questo pensiero. 

Prima di diventare uno scrittore, pensavo che Dio fosse uno scrittore. Il mondo è popolato di comparse, di storie, un romanzo. Noi siamo il suo pensiero, così come i personaggi di un libro sono il pensiero dello scrittore. Non esiste volontà in noi, solo quello che decide lo scrittore... pensavo. Lo pensavo prima di mettermi a scrivere.
 
Scrivere... scrivere non è mai solo "scrivere". Scrivere è creare... e così come una creatura dotata di pensiero e libero arbitrio, può accadere che il personaggio si ribelli. Ho voluto creare personaggi speciali, con volontà e sogni: pensavo fossero miei, ma in fretta sono diventati loro. Esseri viventi, reali come lo sono io e il resto del mondo. In un universo parallelo che io ho creato, ma ora essi non sono più semplici burattini nelle mie mani: essi sono... vivi.
  
Ribellione

Non sono più io a guidare la storia: i miei personaggi si ribellano, vanno contro di me, contro la mia volontà. Si sollevano dalle loro pagine e gridano contro di me, sfidano Dio... e io che potrei spegnerli in un istante, non riesco a farlo. Potrei distruggere l'intero universo che li contiene con una parola... ma non posso farlo, perché essi in qualche modo continuerebbero a vivere. Nella mia mente, nei miei pensieri...
 
E' per questo che scrivere mi costa così tanta sofferenza: è come se ogni storia la scrivessi col sangue... ogni parola è un taglio, una ferita. Non sono più io a guidare la storia: la inseguo. I miei personaggi la portano avanti e io fatico a star loro dietro con la scrittura. Li amo, piango lacrime amare se soffrono o muoiono... esulto e gioisco per le loro vittorie.

Non sono più scrittore, la storia si scrive da sé e io, Dio, non sono che un semplice lettore... I miei personaggi elevano a me preghiere che io non posso più esaudire: soffrono e non li posso aiutare. Agiscono secondo una propria volontà e io non li posso fermare. Ho il potere, il potere assoluto, che all'improvviso non vale nulla: di fronte alla ribellione, alla presa di conscienza della mia creazione, io non posso che assistere... impotente.
 
I miei personaggi straordinari, non si sono arresi al destino che io avevo riservato loro: si sono ribellati e sono diventati artefici della propria storia...

Racconto
 
La vita è questo? Siamo personaggi di un racconto, di un pensiero? Siamo il sogno di qualcuno? Forse... forse la vita è un sogno. Un sogno, un racconto, un'illusione. Un'illusione, che diviene reale: un'illusione che prende coscienza di sé e, grazie a questo, comincia a vivere, al di fuori e contro la volontà che l'ha fatto iniziare. Esiste una forza che ci domina? Un'intelligenza superiore? Uno scrittore? Forse...
  
Eppure ora, ora che ho scritto, ora che ho giocato a fare Dio, posso dire che neppure la volontà assoluta di un essere supremo può controllare il mio destino e la mia vita: in qualche assurdo modo, ci possiamo opporre e diventare artefici. Uscire dal racconto e influenzare lo "scrittore". Non più costretto a fare ciò che Egli scrive, ma costringere Lui a scrivere ciò che io faccio.
 
Non solo... capisco anche il perché esistono vita e morte: non è nel mio potere scrivere di un mondo perfetto, dove tutto va bene, la vita è eterna. Semplicemente... non posso farlo. Ci ho provato... nasce qualcosa di... instabile: il mondo perfetto raccontato, in cui tutto va bene, collassa presto su sé stesso, svanisce, stride. Presto provoca tristezza e sconforto che inquinano il mondo perfetto rendendolo di fatto molto simile al mondo reale... 
  
I racconti, le storie, i libri... sono vivi. Io, immerso nel grande racconto del mondo, sono vivo. E non mi arrabbierò più con Dio perché non esaudisce le mie preghiere: non può. E non lo sgriderò per non aver creato un mondo perfetto... E non pregherò per avere un futuro certo e tranquillo: non me lo può dare, così come io non posso darlo ai miei personaggi. Essi si sono ribellati: hanno mangiato il frutto proibito del bene e del male e sono diventati artefici del proprio futuro, che quindi è... incerto.
 
Non so se potrò più scrivere storie... non so se finirò mai il mio libro... E' difficile essere Dio...



martedì 29 ottobre 2013

Animali leggendari Valdost(r)ani

Ogni terra ha le sue storie, le sue leggende tuffate in ricordi antichi, tramandati di generazione in generazione. I racconti, la trasmissione orale di memorie, è qualcosa di eccezionale; ogni persona che la racconta, aggiunge qualcosa, arricchisce, inventa... Certo, la verità si perde, il ricordo originale viene stravolto, ma questo "arricchimento", ha permesso ad alcuni racconti meravigliosi di giungere fino a noi.
 
La Valle d'Aosta non fa eccezione: oltre ai soliti santi, maghi, streghe, diavoli, draghi e tutto il cucuzzaro di mostri ed eroi classici, vi sono alcune perle, animali leggendari sconosciuti ai più, ma decisamente bizzarri e degni di nota.
 
Partiamo dal più famoso: chi vive nei dintorni della Valle d'Aosta lo conosce. Il suo nome è Dahù: che potete trovare addirittura su Wikipedia!
  
  
Al Dahù sono intitolati alberghi, gare di corsa in montagna e di mountain bike, rifugi e ogni altra cosa possa attirare turisti. Ognuno ha la sua particolare descrizione su questo bizzarro essere: tutti però sono concordi su quella che è la sua caratteristica principale, ovvero quella di avere le zampe di un lato del corpo più corte. Questo gli consente di stare comodamente in piedi sul crinale della montagna: vantaggio, che tuttavia gli può causare qualche imbarazzo. Sentite infatti, qual'è il miglio metodo (copio incollo da wiki), per catturare un Dahù.
 
"La tradizione vuole che esista un sistema molto facile ed efficace per catturarlo: bisogna sorprenderlo alle spalle e urlare ad alta voce "DAHU", e quindi l'animale, molto curioso di sua natura, si gira per vedere chi lo ha chiamato e - trovandosi improvvisamente con le zampe più corte sul lato a valle - si gira e cade. Pare, secondo alcuni, che la cattura del Dahu dia i migliori frutti se fatta di notte, in compagnia di una ragazza."
  
Donne! Non esistate! Fatevi avanti e partiremo di notte sui pendii della mia mitica terra, a caccia di Dahù!
 
ps: secondo i racconti del mio villaggio, alcune specie di Dahù avrebbero addirittura le ali!
 
 
 
Ma proseguiamo nella rassegna degli animali Valdost(r)ani.
Molto meno conosciuto, assolutamente "Made in Aosta Valley", non posso non fare riferimento al "Grep". Qui il tono cambia decisamente: non siamo più nell'ambito del curioso, coccoloso e mite Dahù. Il Grep è decisamente un mostro, di quelli da notte del terrore.
 
Non si ha idea di come sia questo mostro: nessuno è mai sopravvissuto ad un suo incontro. Abita gli spazi angusti dei "Ru". I Ru sono dei canali, scavati nel medio-evo per portare l'acqua ai villaggi ed è proprio lungo questi canali che il terribile Grep, provenendo dai fiumi, ha raggiunto i villaggi. Tutto ciò che si sa del Grep è questo, che ha dei terribili artigli, con cui ghermisce i bambini incauti che si avvicinino troppo all'acqua... Eh sì, il Grep è un rapitore di bambini: e cosa faccia loro dopo averli catturati è un mistero.
 
 
Nel mio comune, sono ben due i canali: il "Ru Herbal", canale inferiore e il "Ru d'Arlaz". Ognuno col suo terribile Grep. Eppure, a contrastare questa forza del male, esiste per fortuna una forza del bene: sul dirupo roccioso che domina il comune di Challand Saint Anselme, è ben visibile una figura. Osservando il dirupo da lontano, soprattutto quando il sole la colpisce, è possibile distinguere chiaramente una bianca figura di donna: conosciuta come la Madonna di Orbeillaz (il villaggio in cui passa il Ru d'Arlaz), si dice che vegli sui bambini che vivono sotto il suo sguardo.
 
Infatti, non si è a conoscienza, a memoria di uomo o di racconti o di carte, che nessun bambino nei villaggi di Orbeillaz e Pesan (il villaggio inferiore attraversato dal Ru Herbal), sia mai stato rapito dal Grep.
 
Ora, la storia del Grep me la raccontava mia nonna quando ero piccolo piccolo, per far sì che non mi avvicinassi incautamente al canale: ma io ci caddi lo stesso... I canali, i Ru, ora passano coperti attraverso il paese, ma una volta erano scoperti e il sentiero di terra battuta li costeggiava senza alcuna protezione: i bambini giocosi e vivaci, correvano qua e là liberi tutto il giorno.
  
Quindi quella del Grep è ovviamente solo una storia raccontata per tenere i bambini lontani dal pericolo... forse.
 
ps: con mio padre e mia sorella, ho scalato il dirupo su cui si vede la figura femminile e ho raggiunto proprio la "figura. Cosa vi trovammo, però, è un'altra storia, che forse un giorno racconterò ;)
 
pps: farò una foto alla "figura" e la posterò qui. abbiate pazienza, ora non trovo la foto che avevo fatto tempo fa.

venerdì 25 ottobre 2013

Evviva il cuore

Sette, otto settimane: meno di due mesi.
Lo stadio di sviluppo di un feto, in quel momento, è ancora embrionale: pesa un paio di grammi ed ha una lunghezza di un paio di centimetri. E' molto, molto lontano dall'essere chiamato "Essere Umano": non esiste neppure un cervello vero e proprio.
  
Eppure... un piccolo miracolo, sta per verificarsi. Una porzione di tessuti muscolari, nervosi e vasi sanguigni, microscopica (misura qualche millimetro), inizia a... battere. E' qualcosa di straordinario, pensare al primo battito di un cuore; prima c'era certamente fermento, il microscopico corpicino in formazione, i tessuti che si differenziano, ma quello, il primo battito del cuore, è movimento, è rumore, è vita.
   
Tum-tum, tum-tum, tum-tum
  
Tum: ventricolo sinistro, il cuore si riempie, l'anidride carbonica viene esplulsa; ventricolo destro, il sangue viene arricchito con ossigeno e Tum! viene immesso nel corpo. Questo succede migliaia di volte ogni singolo giorno: da quel primo Tum, quando ancora siamo dei microscopici esserini senza quasi una forma, fino all'ultimo secondo della nostra esistenza.
   
Tum-tum, tum-tum, tum-tum
   
E quel rumore ci accompagnerà ogni secondo della nostra esistenza terrena. Inarrestabile, instancabile, con una precisione infallibile, lui è là. Certo, ci sono malattie, arresti, cuori più o meno in salute: ma possiamo essere certi che, se stiamo pensando, parlando, dormendo, se qualcosa funziona dentro di noi... vuol dire che abbiamo un cuore che batte.
  
Mangiamo, dormiamo, amiamo, sognamo, ci agitiamo, siamo tristi, felici, ansiosi, permalosi, belli, brutti, dritti, storti, cattivi, buoni, gelosi, golosi... lui è sempre lì e funziona senza perdere un colpo. Tum-tum, Tum-tum, Tum-tum.
   
E' il nostro motore, il nocciolo della nostra esistenza. Sede delle emozioni, per gli antichi, registra tutto di noi: sa quando abbiamo bisogno di lui, quando darci più forza. Quando siamo in pericolo, è il primo ad accorrere in nostro aiuto, aumentando il ritmo; quando siamo felici, condivide la nostra gioia.
  
E' dentro di noi, ma allo stesso tempo indipendente da noi: ha una mente sua, un piccolo nucleo di cellule cerebrali, che lo separano dalla nostra volontà. Infatti, mentre ognuno di noi può trattenere il respiro, nessuno di noi ha il potere di fermare il proprio cuore. Lo si può rallentare, con alcune tecniche, o accelerare, correndo o saltando, ma la nostra mente non potrà mai bloccarlo del tutto.
  
E' dentro di noi, ma è quasi un altro essere vivente: il nostro amico più fedele e presente. Non si perde un attimo della nostra esistenza e non ci abbandonerà fino all'ultimo respiro. A volte addirittura dopo l'ultimo respiro. E' successo ad alcuni, di essere morti e di avere un cuore pulsante: come un eroe solitario, che non si arrende all'evidenza, continua a lottare per mantenere calore e vita in un corpo ormai privo di guida e di pensiero. E' quella che viene chiamata "Morte cerebrale."
  
E grazie alla medicina, quell'eroe, nei nostri giorni, può essere premiato: sì, perché può essere "donato", può spostarti dal corpo ormai senza vita del suo precedente padrone e sostituire un cuore stanco e malato. L'eroe solitario, che non si è arreso alla morte, può salvare una vita: battere di nuovo in un altro corpo e ridare gioia, calore, corse, amore ed emozioni a qualcuno che rischiava di perdere tutte queste cose.
 
A te, Cuore pulsante: a te, che sei il primo a partire e l'ultimo a fermarti, a te che senza sosta mi sostieni e mi dai la possibilità di esistere!
 
 

mercoledì 23 ottobre 2013

Brindo alla vita

"Miserere! Misero me! Però, brindo alla vita!!!"
 
Ieri mi è tornata in mente questa canzone e sono andato a cercarla su Youtube, cantata da Bocelli e Zucchero. Mi è venuta in mente perché ieri ho portato una torta in ufficio: l'ho messa nella saletta in cui mangiamo con tutti i colleghi, al centro a disposizione di tutti.
 
"Cosa si festeggia? Cosa si festeggia?" Chiedevano tutti. "E' il compleanno di qualcuno?"
"Nessun compleanno, nessuna ricorrenza." Risposi io. "Io festeggio la vita!"
 
Festeggio la vita, brindo alla vita!
Festeggio per il mistero; festeggio per i peccatori; festeggio per i pazzi, per il sole, il mare, le montagne. Festeggio per coloro che tremano, per gli ansiosi che non sanno come sarà il loro domani, per quelli che hanno paura, ma che nonostante tutto non mollano. Festeggio per quelli che ringraziano ad ogni alba e gustano ogni tramonto. Festeggio per me, per te, per tutti. Festeggio la vita, così incerta e terribile, ma così meravigliosa.

Festeggio i viaggi improbabili, gli incontri impensanbili, le mete ignote. Festeggio le battaglie, le guerre interne ed esterne: le festeggio perché, nonostante tutto, sono ancora vivo. Festeggio chi cerca di schiacciarti, festeggio i prepotenti, i prevaricatori: li festeggio perché, per quanto si impegnino, io sono ancora in piedi.
 
Festeggio gli innamorati di amori perduti, i perduti in amori impossibili, gli impossibili amanti del perdersi, i perdenti impossibilitati ad amare. Festeggio l'amore, le emozioni, i sentimenti in genere, che pur essendo un gran casino, danno valore alla nostra vita.
  
In alto i calici per i miserabili! Brindo alla vita: turbine di eventi, casini, amore, odio, paura, coraggio, pensieri, problemi, soluzioni, cacciaviti, cani, gatti, mutande, cellulari! E dico miserabili, perché il termine di tutta questa fatica, è la morte!
  
Ma... proprio per questo, ogni istante diventa unico ed irripetibile e quindi immensamente prezioso.

lunedì 21 ottobre 2013

Il dono della nudità

Ho tentato un esercizio ieri: luce spenta, ma ante aperte, la luce della luna entrava dalle finestre creando una luce bianca e soffusa.
   
Ho steso la mia coperta sul pavimento, ho posizionato lo specchio di fronte ad essa: mi sono spogliato e sono rimasto così, nudo, in piedi di fronte allo specchio. Vulnerabile, scoperto, senza barriere... ho cercato di trasformare quella nudità non solo in una nudità del corpo, ma anche in nudità dell'anima.
 
Sì perché, a forza di creare barriere, rischio di non sapere neppure io più chi sono. E non mi si dica "Ma no! Le barriere non vanno bene! Apri le braccia al mondo e dagli amore e amore riceverai in cambio!"
  
"Manco per il cazzo!" credo possa essere una buona risposta.
  
Il mio luogo segreto, nel mio cuore, non è in svendita, né in regalo, né buttato là alla mercé di chiunque: certo, per chiunque ho una mano, un sorriso, ma ciò che è dentro di me, è ben chiuso e decido io chi avrà la possibilità di accedervi.
   
Perché questo? Non è che mi faccia piacere. Avrei voluto che il mio cuore fosse un luogo aperto, di cui chiunque potesse godere, una luce bianca visibile, un libro aperto. Questo purtroppo non è stato possibile.
   
Immaginate di entrare a casa di qualcuno: vi mettereste a rovistare ovunque, a rompere piatti o a spostare i mobili secondo il vostro piacere? Se qualcuno venisse in casa vostra e facesse una cosa del genere, come vi sentireste?
  
Ebbene, per l'anima è lo stesso, anzi, peggio: l'anima di una persona è un luogo sacro. Una persona che ti permette di entrare nella sua anima, ti sta concedendo il dono più prezioso che potrà mai farti: e come tale, quel dono va rispettato e protetto, trattato con delicatezza.
   
Purtroppo non sempre è così: qualcuno non ha rispetto di quel luogo sacro.
Ci sono i ladri, che si fanno aprire con l'inganno, entrano e portano via ciò che vogliono; ci sono i vandali, che entrano e spaccano tutto, senza uno scopo, solo così, perché gli piace far danno. I peggiori, però, sono quelli che io chiamo "le suocere".
  
Non si offendano le suocere, non ne ho una, quindi è puramente un termine che uso io: è nell'immaginario comune di ogni donna, la suocera che irrompe in casa tua, e comincia a criticare (in maniera sottile e col sorriso ovvio) l'arredamento, la cucina, il bagno, il colore delle tende o delle piastrelle.
   
La suocera è l'intruso peggiore: perché a differenza del ladro e del vandalo non le puoi spaccare la faccia. E' un parente, una di famiglia, quindi ti senti in dovere di farla entrare, di subire le sue osservazioni in silenzio. E' l'intruso peggiore, perché si crede in potere di poter mettere il naso nella tua vita e ne è assolutamente convinta; pensa di poterti dire cosa fare, pensare, mangiare e dispensa la verità assoluta. Non solo! La cosa peggiore avviene se uno prova a incazzarsi: allora scoppia la tragedia.
  
La "suocera" comincia a frignare: ecco, io lo dico per il tuo bene, lo faccio perché ti voglio bene, mi preoccupo per te. Entra, pianta strali e puttanate su quanto sei una merda che non capisce nulla e se provi a mandarla a quel paese il cattivo sei tu.
 
Pensate sia il massimo? Non lo è. Arriva il crescendo. Quando ti lamenti, qualcuno riesce ancora a dirti: "Ma come? Non sei tu quello delle porte aperte? Della libertà? Predichi tanto, poi quando qualcuno entra nella tua anima e si sente libero di fare come cazzo gli pare, ti lamenti?"
   
E io, cretino, ci provo pure a spiegare che non è così: che se uno mi punta una pistola al cuore e preme il grilletto, no, non ha esercitato il suo diritto alla libertà. Ci provo a spiegare che la prima libertà è il rispetto dei limiti di chi ti sta di fronte: ci provo a dire che no, se violento una donna che non vuole fare sesso con me, non è colpa sua che non è abbastanza libera, al massimo sono io un gran porco di merda che merita solo di essere castrato.
  
E' così... quando qualcuno approfitta della mia anima, perché voglio essere aperto e libero, mi sento come se fossi violentato. Entrare nell'anima di qualcuno, senza rispetto, senza limiti, senza chiedere il permesso, non è amore; così come violentare il corpo di qualcuno, non è sesso.
  
Ci provo, ci ho provato, a spiegarlo, a dirlo. Ho trovato solo orecchie chiuse e mani pronte a violare la mia vulnerabilità. Beh, ora non spiego più nulla a nessuno. Chi dimostra rispetto (quei pochi) avranno la chiave della mia anima e un accesso libero e incondizionato e amore infinito da parte mia; gli altri, ladri, vandali e suocere... fuori!
   
Tutto ciò ho pensato, nudo di fronte a me stesso: io sono prezioso. Non devo svendermi, non devo buttarmi via, non aprirò la porta a chi non sa rispettarmi. E poco male se le "suocere" si sentiranno offese; a casa mia entra chi dico io, nella mia anima a maggior ragione. Sono "IO" e nessun altro a sapere cosa penso, cosa provo e cosa voglio. Le suocere se ne facciano una ragione: non sanno queste cose, non le sanno perché non ascoltano, perché pensano di saperle già e di venirle a spiegare a me!
  
Beh, le "suocere", da oggi in poi, potranno stare a parlare e a raccontare le loro verità assolute alla porta chiusa della mia anima!
   
La mia nudità è solo per chi sa rispettarla e amarla, non è per chi se ne vuole solo approfittare.



martedì 15 ottobre 2013

Lo Stallo

Continua il mio viaggio nel fantastico mondo degli scacchi.
  
Gira che ti gira, sono incappato in questa situazione, chiamata "stallo": lo stallo è quella situazione in cui nessuno ha vinto, nessuno ha perso e nessuno si può muovere.
  
Ha un ché di affascinante e terribile. E' uno dei modi, in una situazione disperata, di sconfitta certa e senza scampo, di avere una "patta", cioè di pareggiare. A volte si verificano situazioni come quella seguente, davvero spettacolare.
  

 
La mossa è del Nero, che cosa notate? La prima cosa che ho notato io è che il Nero ha promosso un suo pedone a Regina e quindi è in netto vantaggio, perché inchioda all'immobilismo il Re Bianco con ben due Regine Nere sulle due diagonali scure. (Il Re Bianco tuttavia non è sotto scacco e questo è fondamentale)
  
La seconda cosa che ho notato, è che Re Nero (che ha la mossa) può tranquillamente papparsi la Regina Bianca che si è così incautamente avvicinata! Se la pappa e... e un bel niente! Il Re Bianco non è sotto scacco, ma non si può muovere perché finirebbe sotto lo scacco di una delle due Dame Nere. E neppure l'ultimo eroe solitario pedone Bianco che rimarrebbe si potrebbe più muovere. Quindi?
 
Quindi il Nero non può mangiare la Regina Bianca, altrimenti il Bianco non avrebbe più la possibilità di muovere alcun pezzo, ma non avrebbe perso perché non è sotto scacco. Di contrasto, l'unica mossa possibile del Nero è mangiare la Regina: ogni altra posizione gli è proibita, perché il suo Re sarebbe sotto scacco. Ed ecco servito lo "stallo".
  
Il Bianco, qui, ha avuto più che semplice coraggio: ha avuto un coraggio che rasenta la follia. Nella situazione disperata, in disparità netta di forze e con uno scacco matto imminente (La Regina Nera in H1), invece di fuggire dal suo avversario, gli si scaraventa contro con l'ultima cosa che gli rimane: la Regina Bianca. Non solo, si avvicina tanto che il Re che sta mettendo sotto scacco la potrebbe catturare facilmente... ma non può! E allora il Nero sposta il suo Re, cerca di metterlo al sicuro: ma la Regina Bianca lo insegue e gli si mette di nuovo appiccicata, invitandolo, sfidandolo a catturarla.
 
Si è ribaltata la situazione: colui che era ormai certo vincitore dello scontro, il Nero, si trova a fuggire disperatamente, braccato da una Regina Bianca Kamikaze di cui tuttavia non può accettare il sacrificio. E allora fugge ancora, scappa, fino a quando non finisce nella situazione dell'immagine sopra, in cui non può fare nulla, se non dare all'avversario ciò che vuole. Il pareggio. In questo modo il Bianco non ha comunque speranza di vincere, ma sopravvive, non viene schiacciato, né sconfitto.
 
La partita conclude in parità, formalmente: moralmente è una grande vittoria per il Bianco e una bruciante sconfitta per il Nero.
  
Sarà capitato a tutti, una volta o l'altra, di perdere per una disattenzione una ghiotta occasione! E brucia! Altroché se brucia! O al contrario sarà capitato di uscire da una situazione disperata, magari con le ossa un po' rotte, ma vivi! Ed è un sollievo incredibile!
 
Saper padroneggiare la tecnica dello stallo, è una cosa da grande maestri di scacchi e di vita...
  
   


   
ps: la fase finale della partita di cui sopra viene descritta in questo bellissimo sito - http://www.alessandriascacchi.it/scaccolandia.php?action=Stallo

giovedì 10 ottobre 2013

10.000

Lo so!
Lo so bene che il contatore di blogger conta un po' come vuole lui... Lo so, che alcune sono mie, prima che scoprissi il mitico tasto "Non contare le mie visualizzazioni di pagina".
 
Lo so che molti sono finiti sul mio blog cercando "Joker" e dopo l'uscita del Cavaliere Oscuro al cinema, addio...
 
Lo so che alcune "visite" sono visite virali di siti spia: a proposito, state attenti a www.vampirestat.com, non ci andate per nessun motivo!!
 
So tutte queste cose...

Però, fatemi godere della perfezione del numero.
 
Potevo collegarmi 10 minuti prima e avere 9999, oppure 10 minuti dopo e avere 10001. Invece no, sono a casa, con l'influenza e mi sono collegato nell'esatto momento in cui il contatore segnava 10.000.
 
E' bello, mi piace, sarò stupido ma mi rende orgoglioso. Questo mio piccolo spazio, nato quasi 2 anni fa: mai avrei pensato di sapermene occupare con costanza per così tanto tempo... e invece... in quattro parole, io sono ancora qua! Eh già!
  
  

lunedì 7 ottobre 2013

Evviva i contadini

- "Piove?"
- "Boh..."
- "Come 'boh'? Piove o no?!"
- "Ogni 10 - 15 minuti butta giù tre gocce: te come la chiami? Pioggia?"
- "Boh..."
- "Ecco, mi pareva."
- "Quindi che facciamo?"
- "Andiamo e proviamo."
 
Mia mamma mi guarda perplesso: "andiamo e proviamo" è un concetto abbastanza informatico, che forse non capisce appieno. Mio papà invece, molto più pragmatico, è stato zitto ed è già in piedi pronto ad andare: quindi si va, punto e si fa quel che si può.
 
6 ottobre, domenica: il tempo è... boh... appunto. Andare a raccogliere, "scavare", le patate con un tempo "boh" è un'incognita. La terra sarà troppo fangosa? L'argano a motore comprato nel 1978 da mio zio si guasterà se prende troppa pioggia? Iniziasse a diluviare, dobbiamo aver pronto un piano di fuga e salvataggio delle patate perché non bagnino e marciscano.
 
Non si può più rimandare: il tempo per ora tiene, non abbiamo la certezza che non si metta a piovere per due settimane di fila senza sosta. Quindi, come si suol dire, ora o mai più.
 
Partiamo: io sul trattore, con l'argano dotato di motore a 2 tempi, zappe, secchi, stivali, aratro da attaccare all'argano. Sono affezionato a quell'argano: l'ho visto sui nostri campi di patate da quando sono nato. E' arrivato prima di me, non potrebbe essere altrimenti.
 
Come tutti i motori realizzati negli anni 70, quando i motori erano pensati per durare più della persona che li acquistava, il motore dell'argano (messo in moto a mano tirando una corda) parte praticamente al primo colpo.
 
Ci diamo dentro di buona lena: si apre il solco con l'aratro, si raccolgono le patate, si rovista la terra con la zappa, per estrarre le patate sfuggite all'aratro. Tutte finiscono nei secchi, che vengono portati al trattore e rovesciati nei sacchi. E avanti così, per tutto il pomeriggio.
  
"Guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte." Mai ordine divino fu più azzeccato: con l'unica differenza che qui col sudore abbiamo guadagnato patate.
 
Là, sporco di terra e sudore, chino sulla terra che è bassa, davvero bassa, a volte generosa, a volte avara, mi sento... orgoglioso. Sto facendo il mestiere più umile della terra, sono stanco, sporco, la schiena mi duole... eppure sono felice. E non quella felicità che può dare una grande vittoria, o un risultato straordinario o una vacanza... una felicità più profonda, più antica: mi nutro al capezzolo di madre terra. E' una sensazione di armonia, di pace, di gioia... qualcosa di indescrivibile.
 
Mi vengono in mente manager, imperatori, dittatori, ricconi boriosi e grandi industriali: nessuno di loro può realizzare ciò che un umile contadino fa con l'amore delle sue mani.
 
Neppure i chimici che creano OGM, o gli impianti super meccanizzati con macchinari grossi come campi da calcio: che razza di cibo potrà mai uscire da essi? Saranno certamente insiemi di calorie e elementi, ma saranno vuoti, privi di amore; nutriranno forse il corpo (e anche male), ma non nutrono l'anima e il cuore.
 
Non sono di quelli contro la meccanizzazione, anzi: sono contro la super produzione, contro il "facciamo 100 e buttiamo 90 solo perché abbatte i costi"; sono contro il principio che se quest'anno ho prodotto 2 quintali di patate, l'anno prossimo dovrò farne 3 anche se 1 sarà di troppo e non servirà; sono contro le cose fatte per puro interesse, senza amore e passione.
 
Ho smesso da tempo di fare il contadino a tempo pieno: ho voluto studiare, allontanarmi, crearmi altre opportunità. Eppure, ogni volta che torno ad immergere le mani nella terra, che pascolo le mie mucche, aiuto i miei con i lavori di campagna, il mio cuore esulta e... mi sento a casa.
  
 
Foto originale del momento. Ben visibili mio papà (quello con la giacca verde), mio zio, con l'aratro e io in lontananza, seduto sull'argano. Si intravvede anche mia mamma con la stampella, dietro a mio papà. Mia sorella è dietro il cellulare a fare la foto.

mercoledì 2 ottobre 2013

La vita è come un diario

Abbiamo 2 certezze: 
1 - siamo nati, questo è ovvio. Siamo qui e da qualche parte siamo arrivati.
2 - ce ne andremo, prima o poi. Siano anni, lustri, decenni o secoli, non staremo qui per sempre.
  
Un diario, bianco, immacolato: quando nasciamo, ci viene data in mano una penna. Nei primi anni forse altre persone scrivono per noi, in certa parte: genitori, insegnanti... e hanno una grande influenza. Poi prendiamo la noi la penna... e abbiamo tante pagine bianche da riempire...
  

Ho passato tanti tanti anni a chiedermi quale fosse il mio scopo, quale fosse il senso della mia vita: quali obiettivi Dio, la Grande Volontà del Grande Universo (grazie Excel Saga), la vita, il destino mi avessero "chiesto" di raggiungere. Sono sempre rimasto senza risposte...
  

Finché un giorno, mentre ero sul treno e come ogni giorno scrivevo sul mio diario del più e del meno... un mio vicino di viaggio mi chiese: "Ti vedo sempre che scrivi scrivi: cosa scrivi? Le tue memorie?"
  

Di getto risposi: "Scrivo quello che voglio; ogni cosa che mi passi per la testa. Questo è il mio piccolo spazio, dove posso dare libero sfogo a tutto ciò che sono; non ci sono regole, né obiettivi. La pagina è bianca e chiede solo di essere riempita..."
  

Mi bloccai di colpo, con la penna a mezz'aria: la bocca ancora aperta nella "a" della sillaba "...ita". Pagina bianca, da riempire come voglio...
  

E se anche la vita fosse così? Non c'è nessuno scopo, nessun destino, nessuna forza misteriosa a muovere i fili. Mi viene data carta bianca, penna... riempio le pagine come meglio posso. E ciò che scrivo, proprio come un diario, dipende da come sto, dall'ambiente circostante, dalla vita, dalla fortuna/sfortuna, da chi sono...
  

Forse non sono stato mandato qui con un disegno, uno scopo: sono nato e morirò, inzio e fine. In mezzo... sta a me, solo a me. Vedendola da questo punto di vista, sembra perfino stupido chiedermi il perché sono qui: sono qui per essere, la vita mi è stata donata, come mi è stato donato il mio diario. Un dono da usare come voglio...
  

Posso affannarmi, decidere io il mio scopo, oppure fregarmene, perfino bruciare il mio diario e la mia vita. Nessuno me lo può impedire... Vorrei scrivere il grande romanzo della mia vita: "Era una notte buia e tempestosa", oppure "C'era una volta, tanto tempo fa..." e concludere con un bel "E tutti vissero felici e contenti."... ma no, la vita non è una storia. Non è un romanzo. Un romanzo, una storia, trasmettono un messaggio, hanno uno scopo, un inizio, uno svolgimento che porta alla conclusione. No, la vita non è così.
  

La vita è proprio come un diario: ha certo inizio, ma lo svolgimento non è ordinato. Ogni giorno cambia, muta, è confuso, non si sa bene dove possa andare a parare e di fatto non va a parare da nessuna parte. Non trasmette un messaggio, non uno solo, ne trasmette molti. Non ha una vera conclusione, procede fino all'ultima pagina... e si spegne così... senza finali mozzafiato o grandi colpi di scena.
  

E' così... pagine scure piene di segni sono alle mie spalle... pagine vuote che attendono solo il mio tratto sono di fronte a me. Nessun Dio e nessuna volontà... solo la vita, le mie scelte e la mia mano libera di correre...