lunedì 16 aprile 2012

Basta guerre di religione
 
Gli esseri umani amano quelle che io chiamo "Crociate".
Guerra Santa, scontri di idee...
 
Ne vedo e ne sento di tutti i colori... religiosi che ritengono che l'unico modo di vivere siano le loro regole e che sgranano gli occhi scandalizzati a parlargli di scienza esoterica. Atei che si farebbero bruciare, piuttosto che entrare in una chiesa e che ridono sotto i baffi se gli parli di energia, kharma e meditazione. Esoterici che si farebbero bruciare, piuttosto che entrare in una chiesa e ridono sotto i baffi se gli dici che non credi nelle loro teorie, ma preferisci affidarti alla scienza.
 
Che cerchio assurdo mi sembra. Guerre di religione.
Ho citato solo alcune categorie, ma gli esempi sono infiniti: capitalisti e comunisti, dipendenti e autonomi, casti e libertini, gay e etero... Pro-contro aborto, pro-contro anticoncezionali, ambientalisti e costruttori selvaggi.
Sono stanco di questa lotta continua... Ognuno ha la sua Crociata da combattere e la combattiamo così a fondo, ci crediamo così tanto e per così tanto tempo, che alla fine ci dimentichiamo perfino il perché la combattiamo. E ognuno di noi è assolutamente convinto (o vuole convincersi) di fare il bene dell'umanità, di essere depositario di una verità assoluta e granitica. Tanto che veniamo presi da rabbia se qualcuno la critica o la mette in discussione. Abbiamo bisogno di conferme, abbiamo bisogno di sapere che stiamo facendo la cosa giusta, abbiamo necessità di appartenere a qualcosa che non deve dissolversi, altrimenti sprofonderemo... Creiamo la verità, piuttosto che cercarla: lo vedo, perché quando un ragionamento, un modo di pensare diverso, una riflessione, rendono errata o vecchia una cosa che credevamo, allora ci chiudiamo a riccio. Non vogliamo sentire, non vogliamo ascoltare: il buon senso... non ci interessa. Quella verità ci ha sorretti, ci aiuta a vivere, non possiamo metterla in discussione...
E così, quella che era una verità, diventa una menzogna: una menzogna a cui ci aggrappiamo, per cui siamo disposti a lottare e rinnegare gli altri che non vi aderiscono.
 
Perché? Perché abbiamo così paura? Paura di ammettere che la verità non ci appartiene. E che la strada di ricerca giusta per noi, non è la strada di ricerca giusta per un'altra persona.
Se una persona si sente realizzata, migliora il mondo, è felice, seguendo Dio o una qualunque religione, allora è quella la sua strada.
Se una persona si sente realizzata, migliora il mondo, è felice, seguendo le scienze esoteriche, credendo nel kharma e nella reincarnazione, allora quella è la sua strada.
Oppure se si sceglie di non credere a niente e si crede invece nella scienza, o nelle emozioni, o nella natura... allora quella è la strada da seguire.
Una persona che crede nella castità e si sente realizzata nel praticarla, allora io amo quella persona per la sua castità. Un'altra che vede nell'amore libero e nel libertinaggio la sua via, allora io amo quella persona per il suo essere libertina. Amo la persona che si sente realizzata nel viaggiare e quella che invece si realizza legandosi alla sua terra per sempre. Amo chi crede nello sviluppo tecnologico e amo chi invece torna a vivere nella natura.
 
Ma se una persona che vuole essere casta, la si deride perché va di moda il libertinaggio, allora questa subisce una violenza. Una persona che vuole essere promiscua, la si giudica e addita come prostituta o libertino (siamo molto cattivi con le donne in questo), le si fa una violenza.
A chi ama l'arte lo costringiamo a lavorare e fare soldi: a chi ama fare soldi, lo tartassiamo perché non apprezza l'arte. A chi ama i numeri, diciamo che ha una mente troppo analitica.
 
Giudicare, giudicare, giudicare... tutto questo giudicare mi fa venire il mal di testa. Mi chiedo io, non possiamo noi semplicemente rispettarci tutti, con i nostri desideri, le nostre perversioni, i nostri credo, le nostre religioni, tradizioni, hobbie? E' così difficile amare un cristiano se è felice di essere cristiano? Amare un ateo se è felice di esserlo? Dio, l'universo, la vita (chiamatelo come volete) parla a tutti noi con infinite lingue. E' forse l'Italiano più giusto del Tedesco? Ha forse l'Inglese più ragione del Russo o del Cinese? Sono solo lingue diverse, parole diverse per dire la stessa cosa. Se vedessimo un italiano e un francese discutere se sia più giusto dire "Sì" o "Oui", ci sembrerebbe ridicolo, dicono la stessa cosa. Certo, se parlo con un francese, è più corretto dire "Oui", mentre all'Italiano è più giusto dire "Sì". Invece, molti si ostinano in questo: alcuni rimangono convinti che dire "Sì" sia sempre giusto e gli altri che sia sempre giusto dire "Oui".
 
Qualcuno che ragiona c'è e fa giustamente osservare che dipende dalla persona a cui ti rivolgi: ma queste persone vengono presto escluse... La verità e il buon senso danno fastidio. Ammettere che forse si può avere ragione entrambi, chissà perché, fa paura...
 
Vale per tutto nella vita: io sono ateo, ma se voglio parlare ad un religioso dovrò parlare con lui di Dio, che è la sua lingua, altrimenti non ci capiremo. Io credo in Dio, ma se voglio parlare all'ateo, non posso raccontargli di Dio, Gesù e gli apostoli, perché parlerei una lingua che lui non capisce. Invece gli parlerò di cose terrene, di bontà d'animo, parlerò la sua lingua e darò lo stesso messaggio, solo in una lingua diversa.

Sono un dottore, ma se parlo a chi crede nella scienza esoterica, nelle reincarnazioni e nei flussi di energia, parlerò dei flussi linfatici, delle ghiandole, dei processi mentali, di cose che si associano, spiegano, completano, le sue credenze. Se invece lo aggredissi, ribadendo la superiorità della scienza, sbugiardando le sue convinzioni, allora sarà come urlare in tedesco ad un russo. Avrò solo generato uno scontro e nessuno ne verrà arricchito, anzi: il russo si convincerà che tutti i tedeschi sono cattivi, l'esoterico si convincerà che tutti i medici sono dei boriosi saputelli e il medico che gli esoterici sono solo dei pazzi fanatici. Nessuno è riuscito a trasmettere il suo messaggio, ad arricchire l'altro con le sue idee. A chi giova tutto ciò? A nessuno ovviamente. Tutti perdono in guerra, nessuno vince...

  
Nessuno di noi è depositario della verità assoluta: ogni verità si completa con quelle di qualcun altro. Ogni parola di ogni convinzione o credo, può aprire i nostri occhi a quella che è la nostra verità, la nostra ricerca. Così come studiamo l'inglese o il francese per andare all'estero, così è nostro dovere studiare le "lingue" diverse di chi ci circonda. Non con giudizio, né con convinzioni: così come non giudichiamo "Oui" o "Yes", ma ci limitiamo a capire che per un francese e un inglese voglio semplicemente dire "Sì". Sarebbe ridicolo se un giorno qualcuno volesse "convertire" gli inglesi o i francesi, spiegandogli che dire "Sì" è più corretto, più giusto. E' semplicemente diverso...
   
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Un giorno, un religioso (religione indefinita), un ateo, un esoterico e il Joker si incontrarono per discutere i profondi aspetti della vita.
Il religioso si mise ad esporre i suoi testi sacri, che affondavano le origini nel passato e nella sacralità.
L'ateo si mise ad esporre la ferrea logica, basata sulle sue osservazioni, sulla mente analitica ed emozionale.
L'esoterico dimostrò l'esistenza dei canali energetici, la memoria cellulare e la capacità dell'uomo di creare.
Il Joker, invece, rimase in silenzio.
  
La discussione era pacata, tranquilla: ognuno esponeva il proprio pensiero, su ciò che concerneva la vera via, la verità, la giustizia.
Erano grandi sapienti e con grande abilità ribattevano quella che per loro era la verità: e nessuno riusciva a venire a capo della sfida. Nessuno riusciva a convincere gli altri di essere nel giusto: nessuno riteneva di dover abbandonare la propria fede, per seguire quella degli altri.
   
Passato un certo tempo, la discussione si interruppe e tutti si voltarono verso il Joker, che ancora non aveva detto una parola e se ne stava in disparte ridacchiando.
- "E tu?" Chiesero. "Joker, cosa hai da ridere?"
- "Perdonatemi." Rispose lui. "E' molto divertente vedervi fare tanta fatica, cercando ognuno di convincere l'altro del proprio sapere. E ancora nessuno di voi si è reso conto, che da ore state solo ripetendo in tre modi diversi la stessa cosa."




martedì 10 aprile 2012

L'elefante rosa

Non pensare ad un elefante rosa!

Mi chiedo quanti di coloro che hanno letto questa frase, siano effettivamente riusciti a "ubbidire".
Io non ci riesco mai: ogni volta che mi ripeto, "Non devo pensare ad un elefante rosa", la prima cosa che mi appare alla mente è proprio l'immagine del colorato pachiderma, che se la ride bonariamente del mio intento. E più mi impegno a scacciare l'immagine, utilizzando la frase in questione, più questo cresce nella mia mente, fino a riempirla completamente.

Accade sempre questo, nonostante le buone intezioni.
"Su, non ci pensare."
"Dai, non farne una malattia."
"Coraggio. Cosa vuoi che sia."
Ogni volta che mi sento dire qualcosa del genere, mi sale l'angoscia ancora di più.
 
Mi chiedo allora cosa accadrebbe, utilizzando il metodo inverso.
 
"Ora mi concentro e non penserò ad altro che all'elefante rosa. L'elefante rosa è l'unica cosa che occupa la mia mente."
Non so voi, ma dopo alcuni secondi, ecco che la mia mente comincia a vagare. E l'elefante rosa? C'è, non scompare, ma rimpicciolisce. Perde di importanza. E' come se, volendo fissare l'immagine solo su di lui, la mente poi si stanchi e faccia esattamente l'opposto, come un bastian contrario qualsiasi.
 
Cercando di non pensarci, invece, per un assurdo triplo salto mortale carpiato, la mia mente vi ritorna sempre. Un po' come un bambino, che non guarda mai un giocattolo: ma appena si cerca di toglierglielo, ecco che esso diventa estremamente importante. Che razza di scherzi fa la mente...
 
Allora, ad un mio amico che è triste per un qualche motivo, invece di dirgli "Non ci pensare, vedrai che poi passa ecc ecc", dovrei forse provare a dirgli "Questa cosa è terribile, ormai sei finito, non c'è modo che tu possa uscire da questa situazione" e altre cose terribili di questo tipo. Chissà, per un assurdo senso di ribellione, forse gli farei del bene.
 
E' sempre difficile sapere come aiutare gli altri, soprattutto perché non siamo in grado di aiutare noi stessi: come posso portare speranza e consolazione agli "afflitti", se io per primo quando vivo quella situazione non riesco a trovarla per me?
Come posso sfamare l'anima affamata del mio prossimo, se non ho neppure con cosa nutrire la mia?
 
Suona un po' come voler togliere la pagliuzza dall'occhio del mio prossimo e non vedere la trave che sta nel mio. Prima devo togliere la trave che sta nel mio occhio, dopodiché vedrò bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del mio prossimo.(Bella questa frase, chissà come mi è venuta...)
 
Eppure, non posso non pensare che aiutando gli altri, in un qualche modo, finiamo per aiutare anche noi stessi: spiegando la matematica o la fisica a qualcuno, per esempio, chissà perché, riesco a capirle meglio.
Facendo da maestri, in realtà, finiamo per essere allievi. Incredibile...
 
Così, spiegando a qualcuno che deve cercare sé stesso, intraprendere un percorso introspettivo, darsi al volontariato, seguire un corso di arti marziali... senza rendermene conto, sto dando a quel qualcuno le soluzioni della mia vita. Soluzioni che però non seguo... per pigrizia o per mancanza di tempo o per altre banali scuse che mi impedirebbero di lamentarmi.
 
Forse è questo che mi rende tanto ansioso verso il prossimo... se trovo una soluzione per loro, la troverò anche per me. In realtà il mio è egoismo allo stato puro.
Non sono felice se le cose agli altri vanno bene: sono felice quando vanno male. Così potrò aiutarli e aiutare anche me stesso, trovare il mio posto nel mondo... Va da sé, la mia soluzione non va bene per gli altri, quindi magari mi sentirò di aver compiuto la mia buona azione della giornata e starò in pace con me stesso, ma al solito non avrò risolto una fava...
 
Ed ecco, volendo pensare e scrivere dell'elefante rosa, ecco che il nostro pacioso amico pachiderma è sparito e la mente ha vagato in tutt'altro senso. Chi è arrivato fin qui a leggere, si ricordava ancora di lui?
Avessi cercato di spiegare come fare a liberarsi da quel pensiero, forse non ci sarei riuscito così bene... E' certo, la soluzione ad un problema, non sta nel problema stesso. L'annientamento di un pensiero negativo, non sta nel pensiero stesso.
 
A quanti è capitato (va bene, forse non a molti, ma a me è capitato) di dover risolvere un difficile esercizio di matematica. La soluzione sembra lì, eppure non c'è verso. Si gira, si gira, si scrive, si cancella, su e giù per i vari passaggi, ma si ha sempre la sensazione di girare in tondo, di vagare in un intricato labirinto senza uscita.
 
Allora... la soluzione solita è spaccare più volte la fronte contro la parete. Quella insolita sta nel pensare totalmente ad altro: staccare, lasciare libera la mente. Smettere di cercare la soluzione del problema. Dimenticarlo proprio, certo, non certo cercare di smettere di pensarci, altrimenti ritorna il problema dell'elefante rosa.
 
Ed ecco che, a mente ferma, tutto si riallinea... e oplà, la soluzione al problema viene da sola, improvvisa... Scherzi della mente...
 
E ora scusate, vado a parlare un po' col mio elefante rosa.

  


ps: sul mio blog io deliro quanto mi pare!
pps: forse non avrete capito nulla del mio ragionamento, ma vi assicuro che per me è del tutto chiaro.
ppps: funziona così, si pensa ad un oggetto (l'elefante rosa in questo caso) e poi si scrive tutto ciò che passa per la mente a briglia sciolta: dovreste provare, è meglio della droga
pppps: sul mio blog metto quanti post-scriptum mi pare!

giovedì 5 aprile 2012

Grazie

Ci sono giorni in cui vengo travolto.
Proprio schiacciato, distrutto, come se dopo aver costruito le mie convinzioni, le mie difese, i miei buoni propositi, un'onda anomala, uno tsunami di proporzioni bibliche si abbattesse su di esse infrangendole in pochi istanti. Tutti i buoni pensieri, le conquiste del mio spirito, la felicità raggiunta, vengono spazzati via di colpo, come se non fossero mai esistiti.
  
Accade in genere alla mattina presto... in quel momento che sta tra il sonno e la veglia. I sogni ancora permangono nella mia mente, ma la realtà già si affaccia alla coscienza. E' un momento pericolo... le difese sono basse, l'entusiasmo dei sogni, porta alla ribalta desideri, voglie, passioni, fame...
Una fame enorme, insaziabile, fame di doni, di sogni, di avventure: non un desiderio sano, mosso dalla felicità, ma un bisogno fisico, profondo, che provoca un dolore reale al petto. In quei momenti, una sorda disperazione mi assale.
 
E tutti quei sentimenti, che cerco di tenere lontani da me, mi prendono alla gola: invidia, verso chi ha più di me, verso chi ha successo, verso chi raggiunge la felicità. Rabbia verso quelle che mi sembrano ingiustizie. Paura e disperazione, per quelle cose che sfuggono al mio controllo, che vivono e prosperano al di fuori di me, lontano da me. E io mi sento solo, escluso dalla felicità del mondo: provo odio, provo un insano piacere se qualcuno fallisce nei suoi intenti, perché così non potrà dire di essere migliore di me. Io devo essere il migliore, io devo essere al centro del mondo, io devo ricevere sempre più doni, mentre gli altri si devono accontentare. Il mondo deve ruotare attorno a me: pretendo attenzione, pretendo successo e muoio, se vedo qualcuno che ha ciò che io desidero, se vedo qualcuno che riesce laddove io ho fallito, anche solo qualcuno felice e soddisfatto della sua vita mi da fastidio. Come può essere soddisfatto? No, io devo essere l'unico felice.
  
Perché non posso avere questo? Perché non posso avere quest'altro? Perché non sono ricco, di successo? Perché non sono forte? Perché non ho... E così passo il mio tempo a lamentarmi di quello che non ho, delle occasioni perdute nella mia vita, piangendo perché quella volta avrei dovuto fare così e non cosà, perché avrei dovuto girare a destra anziché a sinistra, perché la vita è ingiusta, perché altri hanno avuto e io no...

E così passo il tempo senza badare a quello che ho, ma pensando solo a quello che non ho...
Non solo: a volte rimpiango qualcosa che ho avuto, ma che ho perso. Peccato che, quando avevo quel "qualcosa", mi lamentavo comunque e gli ho dato importanza solo dopo averlo perso...
 
E' proprio così: a volte bisogna perdere qualcosa, per capire quanto sia importante. Solo che poi è troppo tardi e si ricade nello stesso errore. Non guardare a quello che si ha, ma piangere e desiderare quello che non si ha.
 
Allora, quando mi arrivano questi momenti, immagino la seguente scena: mi immagino padre.
Faccio quello che posso per far contento questo mio ipotetico figlio: gli do tutti i doni che posso, tutto l'amore possibile, tutta la disponibilità di cui sono capace.
 
E se lui reagisse come me in questo momento? Se qualunque cosa io faccia, fosse sempre sbagliata ai suoi occhi? Se i miei doni non fossero mai abbastanza? Gli faccio un regalo e lui piange, perché non è quello che vuole, è quell'altro. Allora glielo tolgo, ma allora lui piange, perché gli ho tolto qualcosa a cui teneva. Si dispera perché mi trova ingiusto nei suoi confronti, dice che non lo amo, perché non ha ciò che vuole, eppure io faccio di tutto per farlo contento. Sempre triste, sempre lamentele, sempre pianti... un continuo sentirsi accusare di essere ingiusto...
 
Sarebbe terribile, per il me essere padre di un figlio del genere: seppure non smetterei di amarlo, di certo un bel giorno smetterei di fargli doni. A che scopo? Almeno, che si lamenti per qualche motivo. Che impari cosa vuol dire essere davvero in difficoltà, senza aiuto. Dover conquistare ogni piccola cosa a costo di sacrifici enormi.
 
E' molto valido questo metodo... ho pietà, dispiacere, dolore, per questo figlio che si lamenta, che si dispera, che non vede la luce, le cose belle che lo circondano, i doni immensi che gli sono stati fatti. Quel figlio sono io.
E improvvisamente, la disperazione svanisce: il dolore che sento scompare, una luce mi riempie e scaccia le tenebre. E mi sento come un bambino capriccioso e stupido: voglio voglio voglio, ma merito quello che voglio? No, altrimenti lo avrei già avuto. Voglio voglio voglio e l'immensità di ciò che ho già avuto? E ho tanto, davvero tanto di cui gioire. Desiderare va bene, è bello, è giusto, ma basta piagnucolare pretendendo che tutto mi venga dato. Devo rimboccarmi le maniche e lavorare, darmi da fare. Voglio voglio voglio, ma io? Io mi dono agli altri? Illumino gli altri? Mi do da fare per il mondo che mi circonda?
 
Ogni istante è un dono meraviglioso e quante altre cose meravigliose io posso realizzare con le mie mani. Basta utilizzare le energie che spreco per piangere in un modo migliore. Vedere il mondo con gli occhi dell'amore e non dell'invidia. Abbandonare le mie paure, le mie ossessioni che mi rendono schiavo e coltivare con cura la mia vita, per essere libero.
Vivere con il sorriso sulle labbra, la gioia nel cuore e una parola nella mente...
  
Grazie!