martedì 10 aprile 2012

L'elefante rosa

Non pensare ad un elefante rosa!

Mi chiedo quanti di coloro che hanno letto questa frase, siano effettivamente riusciti a "ubbidire".
Io non ci riesco mai: ogni volta che mi ripeto, "Non devo pensare ad un elefante rosa", la prima cosa che mi appare alla mente è proprio l'immagine del colorato pachiderma, che se la ride bonariamente del mio intento. E più mi impegno a scacciare l'immagine, utilizzando la frase in questione, più questo cresce nella mia mente, fino a riempirla completamente.

Accade sempre questo, nonostante le buone intezioni.
"Su, non ci pensare."
"Dai, non farne una malattia."
"Coraggio. Cosa vuoi che sia."
Ogni volta che mi sento dire qualcosa del genere, mi sale l'angoscia ancora di più.
 
Mi chiedo allora cosa accadrebbe, utilizzando il metodo inverso.
 
"Ora mi concentro e non penserò ad altro che all'elefante rosa. L'elefante rosa è l'unica cosa che occupa la mia mente."
Non so voi, ma dopo alcuni secondi, ecco che la mia mente comincia a vagare. E l'elefante rosa? C'è, non scompare, ma rimpicciolisce. Perde di importanza. E' come se, volendo fissare l'immagine solo su di lui, la mente poi si stanchi e faccia esattamente l'opposto, come un bastian contrario qualsiasi.
 
Cercando di non pensarci, invece, per un assurdo triplo salto mortale carpiato, la mia mente vi ritorna sempre. Un po' come un bambino, che non guarda mai un giocattolo: ma appena si cerca di toglierglielo, ecco che esso diventa estremamente importante. Che razza di scherzi fa la mente...
 
Allora, ad un mio amico che è triste per un qualche motivo, invece di dirgli "Non ci pensare, vedrai che poi passa ecc ecc", dovrei forse provare a dirgli "Questa cosa è terribile, ormai sei finito, non c'è modo che tu possa uscire da questa situazione" e altre cose terribili di questo tipo. Chissà, per un assurdo senso di ribellione, forse gli farei del bene.
 
E' sempre difficile sapere come aiutare gli altri, soprattutto perché non siamo in grado di aiutare noi stessi: come posso portare speranza e consolazione agli "afflitti", se io per primo quando vivo quella situazione non riesco a trovarla per me?
Come posso sfamare l'anima affamata del mio prossimo, se non ho neppure con cosa nutrire la mia?
 
Suona un po' come voler togliere la pagliuzza dall'occhio del mio prossimo e non vedere la trave che sta nel mio. Prima devo togliere la trave che sta nel mio occhio, dopodiché vedrò bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del mio prossimo.(Bella questa frase, chissà come mi è venuta...)
 
Eppure, non posso non pensare che aiutando gli altri, in un qualche modo, finiamo per aiutare anche noi stessi: spiegando la matematica o la fisica a qualcuno, per esempio, chissà perché, riesco a capirle meglio.
Facendo da maestri, in realtà, finiamo per essere allievi. Incredibile...
 
Così, spiegando a qualcuno che deve cercare sé stesso, intraprendere un percorso introspettivo, darsi al volontariato, seguire un corso di arti marziali... senza rendermene conto, sto dando a quel qualcuno le soluzioni della mia vita. Soluzioni che però non seguo... per pigrizia o per mancanza di tempo o per altre banali scuse che mi impedirebbero di lamentarmi.
 
Forse è questo che mi rende tanto ansioso verso il prossimo... se trovo una soluzione per loro, la troverò anche per me. In realtà il mio è egoismo allo stato puro.
Non sono felice se le cose agli altri vanno bene: sono felice quando vanno male. Così potrò aiutarli e aiutare anche me stesso, trovare il mio posto nel mondo... Va da sé, la mia soluzione non va bene per gli altri, quindi magari mi sentirò di aver compiuto la mia buona azione della giornata e starò in pace con me stesso, ma al solito non avrò risolto una fava...
 
Ed ecco, volendo pensare e scrivere dell'elefante rosa, ecco che il nostro pacioso amico pachiderma è sparito e la mente ha vagato in tutt'altro senso. Chi è arrivato fin qui a leggere, si ricordava ancora di lui?
Avessi cercato di spiegare come fare a liberarsi da quel pensiero, forse non ci sarei riuscito così bene... E' certo, la soluzione ad un problema, non sta nel problema stesso. L'annientamento di un pensiero negativo, non sta nel pensiero stesso.
 
A quanti è capitato (va bene, forse non a molti, ma a me è capitato) di dover risolvere un difficile esercizio di matematica. La soluzione sembra lì, eppure non c'è verso. Si gira, si gira, si scrive, si cancella, su e giù per i vari passaggi, ma si ha sempre la sensazione di girare in tondo, di vagare in un intricato labirinto senza uscita.
 
Allora... la soluzione solita è spaccare più volte la fronte contro la parete. Quella insolita sta nel pensare totalmente ad altro: staccare, lasciare libera la mente. Smettere di cercare la soluzione del problema. Dimenticarlo proprio, certo, non certo cercare di smettere di pensarci, altrimenti ritorna il problema dell'elefante rosa.
 
Ed ecco che, a mente ferma, tutto si riallinea... e oplà, la soluzione al problema viene da sola, improvvisa... Scherzi della mente...
 
E ora scusate, vado a parlare un po' col mio elefante rosa.

  


ps: sul mio blog io deliro quanto mi pare!
pps: forse non avrete capito nulla del mio ragionamento, ma vi assicuro che per me è del tutto chiaro.
ppps: funziona così, si pensa ad un oggetto (l'elefante rosa in questo caso) e poi si scrive tutto ciò che passa per la mente a briglia sciolta: dovreste provare, è meglio della droga
pppps: sul mio blog metto quanti post-scriptum mi pare!

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