domenica 21 aprile 2013

Alla ricerca del tesoro nascosto - VII - Fame, gioia, amore

Fame... questa fu la prima cosa che sentii, quando finì quel senso di ubriachezza.
 
Albeggiava... la terribile notta appena trascorsa era finita e io mi lasciai avvolgere dai raggi del sole. I corpi senza vita delle Furie nere si dissolsero, come ombre allo spuntare della luce.
 
Fame... non solo fame di cibo, fame nel corpo, fame nello spirito, fame nelle profondità delle viscere, fame di vita. Un tipo di fame che non avevo mai sentito prima. Provavo... gioia.
 
- "Da tanto non sentivo questa sensazione..." Disse la voce nella mia testa. "Ero forse bambino l'ultima volta..."
 
Mi misi alla ricerca di cibo... Trovai un piccolo corso d'acqua, a cui mi dissetai, e lo seguii. Fui presto premiato dall'apparizione di un grande albero pieno di frutti rossi, enormi e succosi. Il tronco era alto, liscio, ma non mi scoraggiai. Mi aggrappai al tronco e mi issai, avvinghiandomi braccia e gambe alla corteccia liscia come vetro. La salita era durissima, ma mollare la presa avrebbe significato cadere e rifare tutto da capo, così rimasi aggrappato e con pazienza, un centimetro per volta, risalii il fusto.
 
Arrivai al primo ramo, mi ci issai e finalmente tirai il fiato. Alcuni frutti erano alla sommità del ramo, così decisi di scuoterlo, per farli cadere. Li avrei mangiati dopo essere disceso e me ne sarei anche tenuti alcuni per scorta. Sembrava un'ottima idea... sembrava.
 
E funzionò perfino: scuotendo il ramo, quattro grossi frutti caddero al suolo. Fiero della mia intelligente trovata, mi aggrappai nuovamente al tronco dell'albero e mi lasciai scivolare a terra. Mi voltai, ansioso di assaggiare quelle prelibatezze... ma quelle... erano sparite! I frutti che avevo appena fatto cadere non c'erano più! Eppure ero certo del punto in cui erano finiti.
 
Fu allora che colsi un movimento con la coda dell'occhio: c'era qualcuno! Qualcuno fuggiva a rotta di collo, con i miei frutti! Mi gettai all'inseguimento, attraverso la boscaglia e i cespugli. Il rumore dei passi del ladro mi indicavano la via, finché non lo vidi davanti a me, niente più che una macchia indistinta in mezzo al folto verde, ma tanto mi bastò per fare un balzo e afferrarlo!
 
Rotolammo a terra, avvinghiati: cercai di colpire, ma il mio avversario era agile, esile, scattante. Emanava un odore di selvatico e forza. Riuscii infine ad afferrare i suoi polsi e rotolando, glieli bloccai a terra!
 
Una donna... sudata ed ansimante dopo la lotta, vestita di pelli, stava sotto di me. Nera come la notte, i capelli corvini lunghi e selvaggi... bellissima. Il suo odore mi inebriò e quello mi fu fatale... Con una forza inaudita mi scaraventò via, contro un cespuglio di rampicanti, e prima che potessi riavermi dalla sorpresa, mi fu addosso. Veloce come un fulmine, mi avvolse i polsi nei rampicanti, intrappolandomi, poi balzò via.
 
La fulminai con lo sguardo, imprecando e dimendami senza risultato: la guardai sconsolato raccogliere i MIEI frutti rossi da terra. Lo sguardo di soddisfazione che mi lanciò, fece evaporare quello che restava del mio orgoglio... Ma continuai a fissarla: quei profondi occhi neri, avevano qualcosa di incredibilmente magnetico, pacifico, selvaggio. Qualcosa che andava oltre il giusto o sbagliato, l'orgoglio o l'umiliazione, il pensiero, qualcosa di antico e profondo e allo stesso tempo semplice e leggero.
 
Sorrisi... e lei rispose al mio sorriso. Poi cominciammo a ridacchiare, infine a ridere sempre più forte. Iniziammo a ridere a crepapelle entrambi, io intrappolato al mio cespuglio e lei che si rotolava a terra. Ridemmo così tanto e così forte che quando ci riavemmo, mi dolevano le costole e avevo il viso rigato di lacrime.
 
Lei si sedette, a pochi passi da me. Mi guardava, come se volesse trapassarmi il corpo con il suo sguardo. Sostenni il suo sguardo, fissandola in quei pozzi neri come la notte...
 
Si avvicinò, con in mano uno dei frutti che mi aveva rubato, e si mise a cavalcioni su di me. Bloccato dal suo peso e con le mani intrappolate ancora dai rampicanti, ero completamente immobilizzato. L'odore di bosco che emanava mi stordì, mi stordì la setosità della sua pelle. Non indossava altro che una fascia a coprire il seno e una attorno ai fianchi, le sue coscie poderose stringevano le mie gambe come una morsa. Ero inebriato e affascinato... il cuore mi batteva fino in gola. Ebbi quasi un mancamento, quando si tolse la fascia di pelle che le copriva il torace... ma... non ebbi il tempo di godermi a lungo il suo seno nudo, poiché utilizzò quell'indumento per bendarmi.
 
Protestai debolmente... ma lei si chinò verso di me e, posta la bocca vicino al mio orecchio, disse solo.
 
- "Dimentica gli occhi... dimentica che sei capace a vedere..."
 
Stavo cercando di capire cosa volesse dire... quando lei soffiò, sensualmente e dolcemente, dentro il mio orecchio... Sentii tutto il corpo scosso da una scarica elettrica e feci un balzo che per poco non mi slogai i polsi. Un'erezione, come non ne avevo mai avuta, premette contro i miei abiti, i suoi abiti, il suo corpo stretto contro il mio.
 
Soffiò ancora contro il mio orecchio, bisbigliando parole in una lingua che non capivo: sentii l'aria che mi mancava, volevo trattenermi, ma un gemito strozzato mi sfuggì dalla bocca. Al terzo soffio emisi un lungo gemito, boccheggiando...
 
La sentii allontanare la bocca dal mio orecchio e percepii che stava facendo qualcosa con le mani: un odore dolciastro e buonissimo si mescolo al suo selvatico, la combinazione mi mandò in estasi. Lei avvicinò quella cosa profumata ancora di più al mio naso... intuii fosse un pezzo di frutto rosso. Inalai quell'odore incredibile, ancora e ancora, completamente in confusione... Mi passò il pezzo di frutto sulle labbra, cercai allora di addentarlo, ma lei prontamente lo ritrasse. Iniziai allora a leccarmi le braccia avidamente, godendomi quel sapore celestiale... Andai in estasi...
 
Gemetti, quando lei passò ancora il frutto sulle mie labbra: me le leccai ancora... Quanti anni, quanti anni passati a odiare il cibo, a odiare il momento del pasto, a lottare contro il mio stomaco perennemente chiuso, a combattere per tenere dentro il cibo senza vomitarlo, a odiare i mal di stomaco e la cattiva digestione... Anni e anni di sofferenza, spazzate via in un secondo, da quel tocco delicato sulle mie labbra. Una fame enorme, sconfinata, bellissima, mi discese nelle viscere. Sentii i miei organi, il mio corpo intero esultare come mai prima di allora... sentii non di mangiare, ma di fare all'amore con quel cibo. Io amavo quel cibo... amore per il cibo... io... era impossibile, eppure stava accadendo.
 
Piansi... piansi di una gioia sciocca e stupida. Smettevo di piangere solo per leccarmi le labbra, poi ricominciavo... La donna selvaggia iniziò ad introdurre nella mia bocca piccoli pezzetti di quel frutto e ognuno di essi mi saziava, di cibo, ma soprattutto di amore... Succhiai avidamente le sue dita, mordicchiandole, lasciando che lentamente scivolassero fuori tra le mie labbra, dopo aver lasciato il loro piccolo dono...

 
La sentii avvicinarsi, poi la sua pelle morbida toccò le mie labbra... Indovinai che gocce del succo del frutto rosso le erano cadute addosso, allora iniziai a leccare la sua pelle, avidamente... La parte superiore del seno, le clavicole, il collo... la sentii ansimare... Le sue mani mi afferrarono la testa, stringendola contro di lei, mentre ormai fuori controllo, io leccavo e baciavo e mordevo la sua pelle...
 
Stelle di tutti i colori turbinavano nella mia testa, la sentii gridare parole sconosciute, poi qualcosa esplose in me, in noi. I nostri corpi si irrigidirono, mentre una pioggia di scintille esplodeva nella mia testa. Un orgasmo... sì... ma non il solito orgasmo, un orgasmo a livello degli organi sessuali. Fu un orgasmo del cuore, dello stomaco, della lingua, del naso, delle orecchie, dei polmoni... e andò avanti un tempo incalcolabile, salendo e scendendo di intensità. Era come essere attaccati alla corrente elettrica... e finché ogni cellula del mio corpo non ne fu bruciata, noi potei fermarmi...
 
Ci accasciammo infine... esausti... Non l'avevo toccata e lei non aveva quasi toccato me; non l'avevo penetrata, nessuno dei due aveva toccato i genitali dell'altro... Eppure mai come in quel momento, capivo il significato della frase "Fare l'amore". Ogni esperienza sessuale precedente... era solo un microscopica scintilla, a confronto di quell'incendio che mi aveva appena distrutto.
 
Lentamente si alzò da me, sudata e ansimante... mi tolse la benda, ma non aprii gli occhi. Ascoltai i suoi passi allontanarsi nella foresta, seguiti dal suo inebriante profumo di selvatico...

to be continued...

 

5 commenti:

  1. Si fa interessante,continua...
    Un abbraccio

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  2. Qualche anno fa mi è capitato di vivere un'esperienza simile..due anime selvagge, contatti minimi e nessuno sfioramento nelle zone intime...eppure un'energia sessuale pura e libera aleggiava nei nostri sguardi profondi e nei nostri respiri!!
    Le cose che meno ti aspetti e che non programmi alla fine sono quelle che vivi con più trasporto e felicità senza inibizione!
    Concludo con una frase che adoro:
    "non lasciare che il passato ti dica chi sei, ma lascia che sia parte di ciò che diventerai"...viviamoci le cose quando arrivano senza troppi "ma" e "se"!

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  3. Ti stai dando alla narrativa? ^_^
    Temo di essere tornata..forse, non assicuro niente :)
    A presto spero.

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  4. Sono le furie ispiratrici, non ti preoccupare :)
    Comunque sia, ti dispiace se non mi fermo a leggere?
    Il mio tempo stringe sempre abbastanza.

    Al resto, come procede l'esistenza? :)

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