Anni di abbandono e di incuria, di utilizzo come deposito, come casa per i gatti, avevano ridotto casa di mia nonna al disastro. Entrare e vedere gli abiti vecchi ammucchiati, strati di polvere, odore di muffa e di gatto... Una patina nera ricopriva i muri, poiché la stufa, negli anni, le aveva ricoperte con la fuliggine, strato, dopo strato, dopo strato.
I mobili in legno, trascurati, sembravano lamentarsi, cigolando nell'aprire i loro cassetti: quasi come una persona, che si è lasciata andare e geme, quando qualcuno va a scuoterla dal suo torpore, per spingerla a reagire.
Le ante chiuse, come occhi che non hanno più voglia di vedere, i vetri sporchi e opachi, come malati di cataratta. E la stufa, un cuore freddo, duro... come il cuore di chi ha smesso di sognare. E le ragnatele, componevano rughe di vecchiaia e malinconia, avvolgendo le vecchie foto: mia nonna in mezzo alle mucche, mia nonna con il suo inseparabile grembiule, che mi tiene per mano, mia nonna che prepara le caldarroste, sul falò acceso in giardino, mia nonna da giovane, con mia mamma e mio zio piccoli, mia nonna e io... dovevo avere pochi mesi.
La foto di mio nonno, morto in miniera quando mia mamma aveva sette anni: il suo bidoncino per il pranzo, in alluminio. La scatola del tabacco, che porta ancora quell'ammaccatura profonda... quella del masso che lo colpì, spezzandogli i reni e che lo portò alla morte, dopo tre giorni di agonia, lasciando una donna sola, con due bambini piccoli e debiti da pagare, contratti per prendere casa, prati, investimenti per il futuro...
La casa sembrò trarre un lungo respiro, quel giorno, quando la aprii. Quasi una bella addormentata... rimasta in attesa, da quel lontano 8 novembre del 2010, giorno in cui mia nonna lasciò la sua casa, i suoi affanni, il suo corpo mortale.
Si sente ancora la sua presenza, tanto che entro in camera da letto in punta di piedi: come facevo quando vivevo con lei e l'accudivo. Entravo piano nella stanza per non svegliarla, per verificare che tutto fosse a posto... e mi sembra di vederla lì, nella sua sedia, a mangiare per tre e ascoltare la radio.
E' una casa che parla di lei e che, come lei, pareva morta... in attesa dello sfacelo del tempo. Chiunque si sarebbe scoraggiato subito: chi avrebbe mai speso tante energie, per una causa così evidentemente persa?
Nessuno... tranne me. Amo questa casa. Ci sono cresciuto, qui ho la mia essenza più antica e profonda. E poi... è una questione anche con me stesso. Anche io, come questa casa, ero nascosto sotto strati, ero vecchio sotto la polvere, i miei occhi erano opachi, i miei pensieri incrostati di ragnatele.
C'è voglia di vita in questa casa: la sento nel legno del pavimento, lo stesso su cui avevano ballato centinaia di persone, perché sì, casa di mia nonna anticamente era una balera. Lo stesso pavimento su cui dormirono molti partigiani, che si nascosero lì durante la guerra...
Ecco là, i mobili: la cassettiera, costruita nel 1931 dal falegname del paese. I due armadi, più recenti, del 46, costruiti da un mio qualche pro-zio. Legno di noce, splendido: bastano robuste passate di un prodotto per il legno ed eccole tornare al loro splendore... a nuova vita. E poi il mobile del salotto, fatto in legno di ciliegio, da non so chi, negli anni 50: una credenza modificata poi per poterci incastonare un televisore. E' ancora lì, col video registratore accanto...
E poi il bellissimo "comodino"... chiamarlo comodino fa strano: è un tronco di legno, del diametro di un metro, alta un metro e venti circa e del peso di circa un quintale. E' ricavato dalla base di un'antico abete morto di vecchiaia e lavorato da mio zio. Lo scavò all'interno e ricavò una piccola porta, applicando due cardini alla stessa corteccia. Non esiste un mobile simile al mondo.
Mi attrezzo nel vecchio letto di mia nonna, anche quello costruito a mano, costruito da mio nonno, alla fine degli anni 40. Mia nonna ci ha dormito per sessanta anni e ci ho dormito anche io e mia mamma, e tutta la famiglia. Ora ci dormo regolarmente, con la trapunta: la trapunta sì, perché anche se è estate, qui la notte fa ancora freddo.
Il freddo... il freddo è una buona scusa per accendere la stufa. Ed è solo una scusa, appunto... la verità e che voglio riaccendere quel vecchio cuore. E quando tutti pensavano che non avrebbe mai più pulsato... eccola accesa, e un calore immenso invade la casa. E la casa vive, il suo cuore batte ancora.
Esco sul balcone: le mie immense montagne svettano di fronte a me, la vallata si apre sulla destra e s'inerpica sulla sinistra. Respiro. Sono vivo.
Sotto gli strati del tempo, a volte anche gli oggetti che crediamo inanimati hanno un'anima. Un'anima nascosta, un'anima fragile forse, forse un'anima ferita o trascurata o stanca. Ma quell'anima c'è ed è viva.
A chi dovesse entrare, tutte queste sembrerebbero piccole cose... eppure sento, sento la mia anima cantare. Ogni centimetro di casa che strappo agli strati del tempo, è un pezzo della mia antica anima che risorge. Non indietro, avanti, sempre avanti... "Sempre avanti bisogna andare. Tuttavia, dobbiamo sempre ricorda chi siamo e da dove veniamo." Questo mi diceva sempre...
Ciao nonna, questo è per te...