giovedì 27 giugno 2013

La vita è come il poker

La vita è come il poker, perché non sono io a scegliere le carte, le carte scelgono me: io posso solo decidere come usarle.
  
La vita è come il poker, perché ho avuto un certo budget di partenza: se aumenterà o diminuirà dipende dalla partita.
  
Gioco ad un tavolo, il tavolo della vita, che può essere ricco o meno ricco; posso cambiare alcune carte, ma non tutte e non è detto che le nuove saranno migliori delle vecchie.
  
Devo giocare, devo puntare... Certo, potrei sempre passare o lasciare... ma che senso avrebbe? E poi c'è la puntata minima... Lasciare o passare sempre, piano piano, con lentezza, finisce per erodere tutto quello che possiedo.
  
La vita è come il poker, perché se esagero durante un mano e mi va male, rischio di non avere più risorse per la mano successiva. Certo, posso puntare più di quello che ho... andare in debito... ma non è mai una buona idea.
  
La partita prosegue: a volte vinco, incasso, a volte perdo e pago. Mano dopo mano... Posso essere prudente, cambio poche carte, punto ad avere coppie, tris... doppie coppie. Gioco solo fino a ché il gioco rimane entro certi limiti... se qualcuno rilancia oltre ciò che credo sensato, passo, lascio, aspetto la mano successiva, mantengo le mie fiches per una mano meno rischiosa.
   
Oppure posso essere imprudente e allora gioco, sempre e comunque, gioco forte! E ci sono tavoli... santo Dio... ci sono tavoli in cui si gioca davvero forte. Si continua a rilanciare, sempre di più e ancora, cifre folli da far girare la testa. E lì... o so che ho risorse enormi e potrò ripartire ogni volta, anche dopo perdite così grandi, oppure so che il tutto si gioca in poche mani! Le carte sono buone, ottime, imbattibili e allora posso giocare senza paura... ma... se le mie carte sono pessime e sono in un tavolo in cui si gioca forte, allora devo saper bluffare, allora devo dimenticarmi del confine tra la vita e la morte... Perché se solo un lampo di paura mi attraversasse gli occhi, allora sarei perduto e i miei avversari mi farebbero a pezzi!
  
La vita è come il poker, perché se non ho niente e affronto un tavolo in cui si gioca forte, l'unica cosa che può salvarmi è la follia!
   
La vita è come il poker, perché anche di vita mi posso ammalare... anche nella vita, posso perdere tutto in un colpo, anche se fino a quel momento tutto è andato bene.
   
La vita è come il poker: un misto di fortuna, abilità, condizioni iniziali, mani fortunate e sfortunate, perdite e guadagni, ragionamento, rischio, prudenza, astuzia, coraggio, follia...
   
La vita è come il poker, perché la differenza tra inferno e paradiso è sottile come il bordo di una carta...




lunedì 24 giugno 2013

Frangar, non flectar - Flectar, non frangar

"Mi spezzo, ma non mi piego."
"Mi piego, ma non mi spezzo."
 
Una mia metà segue il primo assioma, l'altra metà il secondo. Una mia metà possiede la ferrea disciplina del buon soldatino, che saltà giù dalla branda alle cinque zero zero, rassetta la camerata e esce a correre. L'altra metà segue l'oscurità depravata e autodistruttrice della follia notturna, notti che non finiscono mai, che alle cinque e zero zero forse (forse) va a dormire, gettandosi vestito e disfatto direttamente sulle coperte dismesse...
 
Una mia metà segue la via della purificazione, attraverso la meditazione, il cibo sano, la compassione, il canto e l'ordinamento dei mobili secondo le linee energetiche del mondo e dell'universo. L'equilibrio, il fluire del corpo nel sano lavoro manuale e mentale, buone letture, scacchi, poesia.
 
L'altra metà si nutre di Caos, Caos puro, di anima urlante e ululante: di balli selvaggi attorno ad un fuoco acceso, nudo al chiaro di luna. Risse, coktails improbabili che neppure si sa cosa contengono, gioco d'azzardo... Mobili rovesciati e piatti infranti contro il muro, in catarsi devastanti e agghiaccianti.
 
Una metà si circonda di persone pulite, "normali"... dove normali significa "confinate. Lontane dai limiti, lontane dai guai, saldamente ancorate alla terra. Quelle del "speriamo che nel week end faccia bello", o del "vado due settimane al mare".
 
L'altra metà cerca i folli, i deviati, quelli che hanno passato il confine e si sono persi. La loro bussola rotea impazzita, in preda ai venti del delirio, dell'entusiasmo e della disperazione. Quelli che "indietro non si torna", quelli che "non aspetterò di crepare in silenzio", quelli che "la vita a volte sembra troppa, invece non lo è mai."
 
L'oscillazione di un pendolo, da un estremo all'altro, con cadenza precisa e regolare...
 
Frangar, non flectar.
La metà di spirito che resiste a qualunque lusinga, qualunque pigrizia, qualunque tentazione e sceglie di morire, pur di rimanere sé stesso e non piegarsi al mondo.
 
Flectar, non frangar.
La metà di spirito che segue qualunque corrente, qualunque idea malsana, qualunque istinto o follia dettata da un pensiero passeggero. Tutto, pur di piegare la propria natura al mondo e assaporare ogni cosa...
  


giovedì 20 giugno 2013

Alla ricerca del tesoro nascosto - XI - Il Re, l'uccello dorato e il canto d'amore

Seduto a gambe incrociate, osservavo in silenzio la fata che avevo di fronte. Non ero mai stato di fronte ad un Re e mi sentivo a disagio.
 
Regina Morgana era stata di parola: al villaggio delle fate si erano occupati di me. Ero stato nutrito, curato, massaggiato e vestito con una splendida veste da fata, verde e marrone. Aveva perfino le aperture sulla schiena, per le ali. Risatina Insolente (RI), accanto a me, indossava un abito azzurro, che lasciava scoperte braccia e gambe, i capelli blu raccolti in una coda, le grandi ali da rondine racchiuse aggraziatamente dietro la schiena.
   
Il Re era qualcosa di straordinario: abbigliato con una veste dorata e lucente, aveva grandi ali bianche, capelli lisci e lunghissimi dello stesso colore. Aveva un viso pacifico, occhi azzurri e profondi come il cielo e due magnifiche ali bianche e piumate, come quelle di un angelo. Nella sua reggia, tutto era colore dell'oro: i tappeti su cui eravamo seduti erano cuciti con foglie dorate dell'autunno, dorate le fate guardiane agli ingressi, dorate le tende.
  
Avevo espresso brevemente al Re la storia con il Drago e la fanciulla prigioniera della Torre: il Re mi aveva ascoltato in silenzio e, anche quando ebbi concluso, non disse nulla. Eravamo così in silenzio già da molti minuti; solo dopo un tempo che parve interminabile, finalmente il Re parlò.
 
- "Sia chiamato FI...*"
Non avemmo il tempo nemmeno di chiederci chi fosse, che una delle fate guardiane disse:
- "FI è qui fuori della porta già da alcuni minuti: attendeva solo la vostra convocazione, maestà."
Il Re sorrise compiaciuto e FI entrò: Fata Indovina, questo era il suo nome, era cieco e pareva oltre il tempo. Le sue ali grige e sfumate di blu sembravano tuttavia ancora forti, ma il volto e l'incedere lento ne denotavano l'età ormai avanzata.
<<E' probabilmente cieco.>> Disse la mia voce interiore, notando la giovane fata dai capelli e dalle ali e dal vestito rosso fuoco che l'accompagnava.
- "Ci vedo benissimo invece...*" Rispose quello, con una voce da vecchia, ma solenne campana. "Solo che non osservo con gli occhi.*"
Mi sentii rosso di vergogna.
- "Per... perdonatemi.*" Balbettai.

Egli fece un gesto con la mano, come per dire che quelle erano cose senza importanza; quindi si inchinò al Re.
- "Dicci dunque, FI. Cosa vedi? Il bambino fatato può sconfiggere il Drago?*"
- "Egli ha un solo modo... Ed è ricevere lo spirito di fuoco, dall'uccello dorato.*"
Tutti ammutolirono di colpo. Perfino RI mi guardava con gli occhi a forma di quercia sbarrati.
- "L'uccello dorato...*" mi spiegò "...è in possesso della famiglia del nostro Re da migliaia di anni. E' immortale e viene passato dalle nostre fate regnanti di generazione in generazione. Si dice che il suo canto d'amore, possa donare uno spirito di fuoco a colui che riesce a farlo cantare. Uno spirito di fuoco che lo rende... invincibile...*"

<<Sento che sta per arrivare un... "ma"...>> Disse la mia voce interiore.
- "Ma...*" continuò RI "E' una leggenda. Veneriamo l'uccello dorato... io stessa l'ho veduto sempre nei trecento anni della mia vita. E' muto... Egli non canta, non ha mai cantato, se non nelle leggende... e per quanto ne sappiamo, mai canterà.*"
- "Quindi, per sconfiggere il Drago, devo far cantare un uccello, che però è muto e quando ci sarò riuscito lui mi donerà lo spirito di fuoco...*"

Tutti mi guardarono perplessi: tranne FI, che fatta la sua profezia, ci voltò le spalle e se ne andò, accompagnato dalla sua assistente.
<<Aspetta! Ci sarà pure un altro modo!!*>> Protestò la mia voce.
- "No, non c'è.*" Rispose lui, senza neppure fermarsi, né voltarsi.

- "Ebbene...*" disse allora il Re "...che sia portato qui l'uccello dorato."

Due guardie uscirono e tornarono poco dopo con una grande gabbia, ovviamente dorata. All'interno vi era quello che poteva sembrare un cigno... ma dal piumaggio... beh sì, dorato. Era quasi immobile, non fosse stato per qualche movimento e per il grande calore e energia che emanava, avrei pensato ad un animale impagliato. Voltò la testa, mentre passava davanti a me... ebbi come l'impressione che mi fissasse.

Tutti uscirono... fui lasciato solo con l'uccello dorato. Mi avvicinai alla sua gabbia: grandi cuscini di velluto componevano il suo letto. Cibo raffinato, acqua fresca... Non vi erano porte, ma la distanza tra le sbarre era tale che potevo entrare. Io potevo entrare, ma lui non poteva uscire. Era molto più grande di una persona.

Chi se ne occupava entrava attraverso le sbarre e lo spazzolava, nutriva e puliva con una cura impressionante. Era quanto di più bello avessi mai visto. Non ebbi paura di entrare... non so perché... Mi ritrovai nuovamente a fissarlo negli occhi e mi persi... pensieri mi assalirono: sentii come un vento potente avvolgermi, mi volteggiarono i capelli e gli abiti. Poi, lentamente, la sensazione svanì... Una cosa era certa: non emise neppure un suono.

Parlai con lui.
- "Oh! Grande uccello dorato e divino. Concedimi lo spirito di fuoco!"
Nulla.
- "Oh! Signore di tutti i volatili, tu che sei il più bello e maestoso..."
Nulla.
- "Senti un po'... Sai che potrei torcerti il collo..."
Nulla.
Ballai e cantai, imitai il verso degli uccelli di cui mi ricordavo.
Nulla.
Mi fissava... di tanto in tando sbuffava, quasi infastidito. Ogni tanto venivo avvolto dall'energia che emanava, che muoveva l'aria attorno a me, scompigliandomi i capelli.

Mi sedetti... appena fuori dalla gabbia, a gambe incrociate. Erano ore che provavo...
- "Dimmi... perché sei così insistente?*"
La voce fu tanto improvvisa, che feci un salto di mezzo metro. Pensai per un secondo che fosse stato l'uccello a parlare... ma poi vidi accanto a me la figura lenta e antica di FI, la Fata Indovina.
- "Insistente?*" Chiesi.
- "Cosa ti fa essere così determinato... a volere sconfiggere il Drago, salvare la dama prigioniera. In fondo, non ti impediscono di procedere sulla tua strada, per tornare a casa." Parlò nella lingua degli uomini.
- "E' vero..." Ammisi. "Eppure... ho compreso che questo luogo mi parla: mi ha sempre parlato. Tutto ciò che vivo è qualcosa che è dentro di me. Io non l'ho mai ascoltato... se sono qui, è perché devo imparare, imparare ad ascoltare quello che ho dentro. E se quello che ho dentro è una torre, un drago, una fanciulla da salvare... allora ascolterò; se quello che ho dentro è un uccello muto, che devo far cantare... evidentemente è qualcosa che io devo comprendere, qualcosa che devo imparare. E non potrò proseguire, finché non lo avrò fatto."
FI rimase imperturbabile, ma stranamente sentii che fu soddisfatto della risposta.
- "Allora..." mi disse "...impara, impara ed ascolta. Buona notte."
Non disse altro e se ne andò, lasciandomi nuovamente solo con l'uccello.

Passarono le ore... la notte. Provai nuovamente a cantare, ballare, parlare... nulla. L'uccello dorato era muto. Comunicava solo attraverso la sua energia, faceva turbinare l'aria, ma nulla che sembrasse un canto. Seduto di fronte a lui in silenzio, mi sentivo davvero esausto... i cuscini di velluto erano così morbidi. Nel giro di un minuto mi addormentai. E sognai... Sognai cieli, nuvole, vento tra i capelli: mi svegliai di soprassalto, con l'aria che mi scompigliava i capelli, mossa dall'energia dell'uccello. Era mattino ormai... Cieli, nuvole... fissai l'uccello dorato negli occhi e finalmente capii.

Balzai in piedi e corsi verso l'uscita: quasi mi scontrai con FI, che ovviamente si era scansato prima che aprissi con violenza la porta.
- "Chiama il Re!" Gli dissi concitato. "So come far cantare l'uccello dorato."
- "Lo so..." Disse lui. "L'ho già chiamato."
- "Sai anche che potrebbe non esserne così felice?"

FI annuì.

Poco dopo erano tutti là: FI, RI, il Re, le guardie, la Regina Morgana e molte altre fate. Tanti erano venuti di corsa, per vedere se effettivamente sapevo far cantare l'uccello dorato. Molti affollavano la via fuori del palazzo, una grande folla si era radunata.

Tutti mi fissavano: avevo spalancato tutte le finestre, per far udire il canto anche fuori, dissi. Entrai nella gabbia e scese un silenzio totale, sia dentro, che fuori la reggia. Mi avvicinai all'uccello dorato e ci fissammo negli occhi per lungo tempo: il vento mi scompigliò i capelli. Lo accarezzai e gli sussurrai all'orecchio, cose che nessuno udì. E lui reagì, per la prima volta fece un movimento, la prima volta in centinaia di anni, seppi poi. Annuì, mosse la testa in su e in giù. E scrollò le ali... una prima volta.

Mi voltai e andai al lato opposto della gabbia: e di nuovo lo fissai. Lui scrollò nuovamente le ali, più forte. Tutto il pubblico rumoreggiò e mormorò: ma ancora l'uccello non aveva cantato, né fatto alcun suono...

Mi appoggiai sconsolato alle sbarre e scuotendo la testa... "Noooo.*" Tintinnò il pubblico. "Non c'è riuscito!*" Esclamò qualcuno.

Appoggiai le mani, una ad una sbarra, una all'altra. L'uccello tacque, ma spalancò un poco le ali. Fu allora, che chiamai il Toro; la mia forza interiore. La chiamai, con tutta la forza di cui ero capace e il Toro rispose! La folla gridò, mentre prendevo la forma: crebbi e spinsi, spinsi con tutta la forza che avevo contro le sbarre. L'uccello si agitò, si alzò sulle zampe, allungò il collo! Misi tutta la mia forza, contro il metallo: il cuore mi batteva potente nel petto, le vene mi si gonfiarono... infine... le sbarre... cedettero e si allargarono, con uno stridore assordante.

Tutti mi guardavano allucinati: tutti tranne FI, che sorrideva... Tornai, ansimante ed esausto, alla mia condizione normale. Le sbarre ricurve e ritorte, ai miei lati... le finestre aperte, alle mie spalle.
- "Va... amico mio." Dissi. "Sei libero."
- "Noooo!! Fermatelo!! E' pazzo!!*" Sentii il Re gridare, le guardie, dopo un attimo di smarrimento, si gettarono verso la gabbia... ma ormai era tardi.
L'uccello dorato spalancò le ali più grandi che avessi mai visto: fece un passo incerto verso le sbarre allargate... poi un altro più sicuro... poi cominciò a correre... e si gettò attraverso l'apertura. Sbatté le ali e si lanciò... oltre la finestra... e sfrecciò sopra la folla, che ne rimase abbagliata, mentre il sole del mattino illuminava il grande uccello dorato!
- "Ooooh!!" Gridarono tutti.
E l'uccello girò e girò e sbatté le ali e salì più in alto: il vento gli accarezzò il corpo, le piume... così come tante volte mi aveva fatto provare quella notte, con la sua energia. Il vento, il cielo... la libertà di volare...

Piroettò su sé stesso... aprì il becco... e cantò!!
E tutto fu silenzio. Il villaggio delle fate, la reggia, l'intera foresta... ogni cosa tacque, mentre il suono più celestiale mai udito, si disperdeva nel vento!




lunedì 17 giugno 2013

Il blocco

Ed arriva che sei lì, con la penna in mano, sospesa a mezz'aria sul foglio bianco.
Scrivi, cancelli, riscrivi, appallottoli e butti via... Scrivi, cancelli, riscrivi, appallottoli e butti via... Ancora e ancora...

Ne avresti di cose da scrivere... ma non riesci a tradurre in parole...

Attendo, con pazienza, di essere nuovamente pronto...



lunedì 10 giugno 2013

La ricerca di Dio - Porte chiuse

Mi sono trovato in questi giorni in alcuni pensieri: pensieri che mi hanno spinto a ricercare Dio... Certo, non parlo del Dio della Bibbia o quello declamato nelle varie religioni: il Dio, quella forza, quell'armonia, quel "qualcosa" che ci fa sentire bene, felici, in pace.
 
Dio... ogni tanto mi piace parlare con lui. E i pensieri che ho avuto, me ne hanno fatto sentire il bisogno.
 
Ero all'aeroporto di Bergamo qualche giorno fa, in preda a questi pensieri: non so se lo sapete, ma all'aeroporto di Orio al Serio c'è una piccola cappella, al piano interrato. Pensai che fosse una buona occasione per parlare un po' con Dio dei pensieri che mi affliggevano... ma quando arrivai alla cappella... le porte erano sbarrate. Ho cercato Dio, per chiedere luce e comprensione di ciò che provavo nel cuore, ma la sua porta era chiusa...
 
Questa cosa... mi ha inquietato, non poco.
 
Mi raccontai che era solo un caso... così cerca Dio per altre vie: lo cercai con la meditazione, entrando in me, chiamando il mio Dio interiore... Ma a differenza di tante altre volte, non ho percepito la sua presenza. L'ho ricercato nell'energia sessuale, in quella passione, l'amore spirituale e fisico tra due corpi... ma, seppure mi abbia portato grande piacere, ancora la risposta non è arrivata...
L'ho cercato addirittura in chiesa, luogo dove ormai da anni non mi faccio vedere... ma mi hanno accolto solo le parole vuote di un tale dietro un altare e le ripetizioni ossessive di chi ascoltava... che neppure rifletteva sul significato di ciò che stava dicendo.
L'ho cercato nel canto, in un locale di karaoke, mi sono lanciato in varie canzoni... e ho cantato bene, ma senza quella emozione, quella passione che mi travolge quando ho un microfono in mano. Ero trattenuto, pensavo durante la canzone... pensavo alle note, pensavo al pubblico... Mentre si canta è bruttissimo pensare... Non si fluisce, non si "diventa" musica...
 
Porte chiuse: qualcosa in me, mi impedisce di raggiungere Dio, il mio Io divino... Perché?
Non mi servono propriamente risposte... mi serve... calore, fiducia, abbandono... E' come volersi innamorare e non riuscirci. Ovvio non ci si può innamorare a comando, ma quando non ci si riesce è perché qualcosa nel nostro cuore è bloccato... E io non riesco a capire cos'è.
 
E so che è inutile accanirsi... non è fissandomi sul problema che lo risolverò... ma se hai fame e non trovi il cibo, diventa difficile non pensarci.
"Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?" Matteo, 7,9