Seduto a gambe incrociate, osservavo in silenzio la fata che avevo di fronte. Non ero mai stato di fronte ad un Re e mi sentivo a disagio.
Regina Morgana era stata di parola: al villaggio delle fate si erano occupati di me. Ero stato nutrito, curato, massaggiato e vestito con una splendida veste da fata, verde e marrone. Aveva perfino le aperture sulla schiena, per le ali. Risatina Insolente (RI), accanto a me, indossava un abito azzurro, che lasciava scoperte braccia e gambe, i capelli blu raccolti in una coda, le grandi ali da rondine racchiuse aggraziatamente dietro la schiena.
Il Re era qualcosa di straordinario: abbigliato con una veste dorata e lucente, aveva grandi ali bianche, capelli lisci e lunghissimi dello stesso colore. Aveva un viso pacifico, occhi azzurri e profondi come il cielo e due magnifiche ali bianche e piumate, come quelle di un angelo. Nella sua reggia, tutto era colore dell'oro: i tappeti su cui eravamo seduti erano cuciti con foglie dorate dell'autunno, dorate le fate guardiane agli ingressi, dorate le tende.
Avevo espresso brevemente al Re la storia con il Drago e la fanciulla prigioniera della Torre: il Re mi aveva ascoltato in silenzio e, anche quando ebbi concluso, non disse nulla. Eravamo così in silenzio già da molti minuti; solo dopo un tempo che parve interminabile, finalmente il Re parlò.
- "Sia chiamato FI...*"
Non avemmo il tempo nemmeno di chiederci chi fosse, che una delle fate guardiane disse:
- "FI è qui fuori della porta già da alcuni minuti: attendeva solo la vostra convocazione, maestà."
Il Re sorrise compiaciuto e FI entrò: Fata Indovina, questo era il suo nome, era cieco e pareva oltre il tempo. Le sue ali grige e sfumate di blu sembravano tuttavia ancora forti, ma il volto e l'incedere lento ne denotavano l'età ormai avanzata.
<<E' probabilmente cieco.>> Disse la mia voce interiore, notando la giovane fata dai capelli e dalle ali e dal vestito rosso fuoco che l'accompagnava.
- "Ci vedo benissimo invece...*" Rispose quello, con una voce da vecchia, ma solenne campana. "Solo che non osservo con gli occhi.*"
Mi sentii rosso di vergogna.
- "Per... perdonatemi.*" Balbettai.
Egli fece un gesto con la mano, come per dire che quelle erano cose senza importanza; quindi si inchinò al Re.
- "Dicci dunque, FI. Cosa vedi? Il bambino fatato può sconfiggere il Drago?*"
- "Egli ha un solo modo... Ed è ricevere lo spirito di fuoco, dall'uccello dorato.*"
Tutti ammutolirono di colpo. Perfino RI mi guardava con gli occhi a forma di quercia sbarrati.
- "L'uccello dorato...*" mi spiegò "...è in possesso della famiglia del nostro Re da migliaia di anni. E' immortale e viene passato dalle nostre fate regnanti di generazione in generazione. Si dice che il suo canto d'amore, possa donare uno spirito di fuoco a colui che riesce a farlo cantare. Uno spirito di fuoco che lo rende... invincibile...*"
<<Sento che sta per arrivare un... "ma"...>> Disse la mia voce interiore.
- "Ma...*" continuò RI "E' una leggenda. Veneriamo l'uccello dorato... io stessa l'ho veduto sempre nei trecento anni della mia vita. E' muto... Egli non canta, non ha mai cantato, se non nelle leggende... e per quanto ne sappiamo, mai canterà.*"
- "Quindi, per sconfiggere il Drago, devo far cantare un uccello, che però è muto e quando ci sarò riuscito lui mi donerà lo spirito di fuoco...*"
Tutti mi guardarono perplessi: tranne FI, che fatta la sua profezia, ci voltò le spalle e se ne andò, accompagnato dalla sua assistente.
<<Aspetta! Ci sarà pure un altro modo!!*>> Protestò la mia voce.
- "No, non c'è.*" Rispose lui, senza neppure fermarsi, né voltarsi.
- "Ebbene...*" disse allora il Re "...che sia portato qui l'uccello dorato."
Due guardie uscirono e tornarono poco dopo con una grande gabbia, ovviamente dorata. All'interno vi era quello che poteva sembrare un cigno... ma dal piumaggio... beh sì, dorato. Era quasi immobile, non fosse stato per qualche movimento e per il grande calore e energia che emanava, avrei pensato ad un animale impagliato. Voltò la testa, mentre passava davanti a me... ebbi come l'impressione che mi fissasse.
Tutti uscirono... fui lasciato solo con l'uccello dorato. Mi avvicinai alla sua gabbia: grandi cuscini di velluto componevano il suo letto. Cibo raffinato, acqua fresca... Non vi erano porte, ma la distanza tra le sbarre era tale che potevo entrare. Io potevo entrare, ma lui non poteva uscire. Era molto più grande di una persona.
Chi se ne occupava entrava attraverso le sbarre e lo spazzolava, nutriva e puliva con una cura impressionante. Era quanto di più bello avessi mai visto. Non ebbi paura di entrare... non so perché... Mi ritrovai nuovamente a fissarlo negli occhi e mi persi... pensieri mi assalirono: sentii come un vento potente avvolgermi, mi volteggiarono i capelli e gli abiti. Poi, lentamente, la sensazione svanì... Una cosa era certa: non emise neppure un suono.
Parlai con lui.
- "Oh! Grande uccello dorato e divino. Concedimi lo spirito di fuoco!"
Nulla.
- "Oh! Signore di tutti i volatili, tu che sei il più bello e maestoso..."
Nulla.
- "Senti un po'... Sai che potrei torcerti il collo..."
Nulla.
Ballai e cantai, imitai il verso degli uccelli di cui mi ricordavo.
Nulla.
Mi fissava... di tanto in tando sbuffava, quasi infastidito. Ogni tanto venivo avvolto dall'energia che emanava, che muoveva l'aria attorno a me, scompigliandomi i capelli.
Mi sedetti... appena fuori dalla gabbia, a gambe incrociate. Erano ore che provavo...
- "Dimmi... perché sei così insistente?*"
La voce fu tanto improvvisa, che feci un salto di mezzo metro. Pensai per un secondo che fosse stato l'uccello a parlare... ma poi vidi accanto a me la figura lenta e antica di FI, la Fata Indovina.
- "Insistente?*" Chiesi.
- "Cosa ti fa essere così determinato... a volere sconfiggere il Drago, salvare la dama prigioniera. In fondo, non ti impediscono di procedere sulla tua strada, per tornare a casa." Parlò nella lingua degli uomini.
- "E' vero..." Ammisi. "Eppure... ho compreso che questo luogo mi parla: mi ha sempre parlato. Tutto ciò che vivo è qualcosa che è dentro di me. Io non l'ho mai ascoltato... se sono qui, è perché devo imparare, imparare ad ascoltare quello che ho dentro. E se quello che ho dentro è una torre, un drago, una fanciulla da salvare... allora ascolterò; se quello che ho dentro è un uccello muto, che devo far cantare... evidentemente è qualcosa che io devo comprendere, qualcosa che devo imparare. E non potrò proseguire, finché non lo avrò fatto."
FI rimase imperturbabile, ma stranamente sentii che fu soddisfatto della risposta.
- "Allora..." mi disse "...impara, impara ed ascolta. Buona notte."
Non disse altro e se ne andò, lasciandomi nuovamente solo con l'uccello.
Passarono le ore... la notte. Provai nuovamente a cantare, ballare, parlare... nulla. L'uccello dorato era muto. Comunicava solo attraverso la sua energia, faceva turbinare l'aria, ma nulla che sembrasse un canto. Seduto di fronte a lui in silenzio, mi sentivo davvero esausto... i cuscini di velluto erano così morbidi. Nel giro di un minuto mi addormentai. E sognai... Sognai cieli, nuvole, vento tra i capelli: mi svegliai di soprassalto, con l'aria che mi scompigliava i capelli, mossa dall'energia dell'uccello. Era mattino ormai... Cieli, nuvole... fissai l'uccello dorato negli occhi e finalmente capii.
Balzai in piedi e corsi verso l'uscita: quasi mi scontrai con FI, che ovviamente si era scansato prima che aprissi con violenza la porta.
- "Chiama il Re!" Gli dissi concitato. "So come far cantare l'uccello dorato."
- "Lo so..." Disse lui. "L'ho già chiamato."
- "Sai anche che potrebbe non esserne così felice?"
FI annuì.
Poco dopo erano tutti là: FI, RI, il Re, le guardie, la Regina Morgana e molte altre fate. Tanti erano venuti di corsa, per vedere se effettivamente sapevo far cantare l'uccello dorato. Molti affollavano la via fuori del palazzo, una grande folla si era radunata.
Tutti mi fissavano: avevo spalancato tutte le finestre, per far udire il canto anche fuori, dissi. Entrai nella gabbia e scese un silenzio totale, sia dentro, che fuori la reggia. Mi avvicinai all'uccello dorato e ci fissammo negli occhi per lungo tempo: il vento mi scompigliò i capelli. Lo accarezzai e gli sussurrai all'orecchio, cose che nessuno udì. E lui reagì, per la prima volta fece un movimento, la prima volta in centinaia di anni, seppi poi. Annuì, mosse la testa in su e in giù. E scrollò le ali... una prima volta.
Mi voltai e andai al lato opposto della gabbia: e di nuovo lo fissai. Lui scrollò nuovamente le ali, più forte. Tutto il pubblico rumoreggiò e mormorò: ma ancora l'uccello non aveva cantato, né fatto alcun suono...
Mi appoggiai sconsolato alle sbarre e scuotendo la testa... "Noooo.*" Tintinnò il pubblico. "Non c'è riuscito!*" Esclamò qualcuno.
Appoggiai le mani, una ad una sbarra, una all'altra. L'uccello tacque, ma spalancò un poco le ali. Fu allora, che chiamai il Toro; la mia forza interiore. La chiamai, con tutta la forza di cui ero capace e il Toro rispose! La folla gridò, mentre prendevo la forma: crebbi e spinsi, spinsi con tutta la forza che avevo contro le sbarre. L'uccello si agitò, si alzò sulle zampe, allungò il collo! Misi tutta la mia forza, contro il metallo: il cuore mi batteva potente nel petto, le vene mi si gonfiarono... infine... le sbarre... cedettero e si allargarono, con uno stridore assordante.
Tutti mi guardavano allucinati: tutti tranne FI, che sorrideva... Tornai, ansimante ed esausto, alla mia condizione normale. Le sbarre ricurve e ritorte, ai miei lati... le finestre aperte, alle mie spalle.
- "Va... amico mio." Dissi. "Sei libero."
- "Noooo!! Fermatelo!! E' pazzo!!*" Sentii il Re gridare, le guardie, dopo un attimo di smarrimento, si gettarono verso la gabbia... ma ormai era tardi.
L'uccello dorato spalancò le ali più grandi che avessi mai visto: fece un passo incerto verso le sbarre allargate... poi un altro più sicuro... poi cominciò a correre... e si gettò attraverso l'apertura. Sbatté le ali e si lanciò... oltre la finestra... e sfrecciò sopra la folla, che ne rimase abbagliata, mentre il sole del mattino illuminava il grande uccello dorato!
- "Ooooh!!" Gridarono tutti.
E l'uccello girò e girò e sbatté le ali e salì più in alto: il vento gli accarezzò il corpo, le piume... così come tante volte mi aveva fatto provare quella notte, con la sua energia. Il vento, il cielo... la libertà di volare...
Piroettò su sé stesso... aprì il becco... e cantò!!
E tutto fu silenzio. Il villaggio delle fate, la reggia, l'intera foresta... ogni cosa tacque, mentre il suono più celestiale mai udito, si disperdeva nel vento!
Avevo espresso brevemente al Re la storia con il Drago e la fanciulla prigioniera della Torre: il Re mi aveva ascoltato in silenzio e, anche quando ebbi concluso, non disse nulla. Eravamo così in silenzio già da molti minuti; solo dopo un tempo che parve interminabile, finalmente il Re parlò.
- "Sia chiamato FI...*"
Non avemmo il tempo nemmeno di chiederci chi fosse, che una delle fate guardiane disse:
- "FI è qui fuori della porta già da alcuni minuti: attendeva solo la vostra convocazione, maestà."
Il Re sorrise compiaciuto e FI entrò: Fata Indovina, questo era il suo nome, era cieco e pareva oltre il tempo. Le sue ali grige e sfumate di blu sembravano tuttavia ancora forti, ma il volto e l'incedere lento ne denotavano l'età ormai avanzata.
<<E' probabilmente cieco.>> Disse la mia voce interiore, notando la giovane fata dai capelli e dalle ali e dal vestito rosso fuoco che l'accompagnava.
- "Ci vedo benissimo invece...*" Rispose quello, con una voce da vecchia, ma solenne campana. "Solo che non osservo con gli occhi.*"
Mi sentii rosso di vergogna.
- "Per... perdonatemi.*" Balbettai.
Egli fece un gesto con la mano, come per dire che quelle erano cose senza importanza; quindi si inchinò al Re.
- "Dicci dunque, FI. Cosa vedi? Il bambino fatato può sconfiggere il Drago?*"
- "Egli ha un solo modo... Ed è ricevere lo spirito di fuoco, dall'uccello dorato.*"
Tutti ammutolirono di colpo. Perfino RI mi guardava con gli occhi a forma di quercia sbarrati.
- "L'uccello dorato...*" mi spiegò "...è in possesso della famiglia del nostro Re da migliaia di anni. E' immortale e viene passato dalle nostre fate regnanti di generazione in generazione. Si dice che il suo canto d'amore, possa donare uno spirito di fuoco a colui che riesce a farlo cantare. Uno spirito di fuoco che lo rende... invincibile...*"
<<Sento che sta per arrivare un... "ma"...>> Disse la mia voce interiore.
- "Ma...*" continuò RI "E' una leggenda. Veneriamo l'uccello dorato... io stessa l'ho veduto sempre nei trecento anni della mia vita. E' muto... Egli non canta, non ha mai cantato, se non nelle leggende... e per quanto ne sappiamo, mai canterà.*"
- "Quindi, per sconfiggere il Drago, devo far cantare un uccello, che però è muto e quando ci sarò riuscito lui mi donerà lo spirito di fuoco...*"
Tutti mi guardarono perplessi: tranne FI, che fatta la sua profezia, ci voltò le spalle e se ne andò, accompagnato dalla sua assistente.
<<Aspetta! Ci sarà pure un altro modo!!*>> Protestò la mia voce.
- "No, non c'è.*" Rispose lui, senza neppure fermarsi, né voltarsi.
- "Ebbene...*" disse allora il Re "...che sia portato qui l'uccello dorato."
Due guardie uscirono e tornarono poco dopo con una grande gabbia, ovviamente dorata. All'interno vi era quello che poteva sembrare un cigno... ma dal piumaggio... beh sì, dorato. Era quasi immobile, non fosse stato per qualche movimento e per il grande calore e energia che emanava, avrei pensato ad un animale impagliato. Voltò la testa, mentre passava davanti a me... ebbi come l'impressione che mi fissasse.
Tutti uscirono... fui lasciato solo con l'uccello dorato. Mi avvicinai alla sua gabbia: grandi cuscini di velluto componevano il suo letto. Cibo raffinato, acqua fresca... Non vi erano porte, ma la distanza tra le sbarre era tale che potevo entrare. Io potevo entrare, ma lui non poteva uscire. Era molto più grande di una persona.
Chi se ne occupava entrava attraverso le sbarre e lo spazzolava, nutriva e puliva con una cura impressionante. Era quanto di più bello avessi mai visto. Non ebbi paura di entrare... non so perché... Mi ritrovai nuovamente a fissarlo negli occhi e mi persi... pensieri mi assalirono: sentii come un vento potente avvolgermi, mi volteggiarono i capelli e gli abiti. Poi, lentamente, la sensazione svanì... Una cosa era certa: non emise neppure un suono.
Parlai con lui.
- "Oh! Grande uccello dorato e divino. Concedimi lo spirito di fuoco!"
Nulla.
- "Oh! Signore di tutti i volatili, tu che sei il più bello e maestoso..."
Nulla.
- "Senti un po'... Sai che potrei torcerti il collo..."
Nulla.
Ballai e cantai, imitai il verso degli uccelli di cui mi ricordavo.
Nulla.
Mi fissava... di tanto in tando sbuffava, quasi infastidito. Ogni tanto venivo avvolto dall'energia che emanava, che muoveva l'aria attorno a me, scompigliandomi i capelli.
Mi sedetti... appena fuori dalla gabbia, a gambe incrociate. Erano ore che provavo...
- "Dimmi... perché sei così insistente?*"
La voce fu tanto improvvisa, che feci un salto di mezzo metro. Pensai per un secondo che fosse stato l'uccello a parlare... ma poi vidi accanto a me la figura lenta e antica di FI, la Fata Indovina.
- "Insistente?*" Chiesi.
- "Cosa ti fa essere così determinato... a volere sconfiggere il Drago, salvare la dama prigioniera. In fondo, non ti impediscono di procedere sulla tua strada, per tornare a casa." Parlò nella lingua degli uomini.
- "E' vero..." Ammisi. "Eppure... ho compreso che questo luogo mi parla: mi ha sempre parlato. Tutto ciò che vivo è qualcosa che è dentro di me. Io non l'ho mai ascoltato... se sono qui, è perché devo imparare, imparare ad ascoltare quello che ho dentro. E se quello che ho dentro è una torre, un drago, una fanciulla da salvare... allora ascolterò; se quello che ho dentro è un uccello muto, che devo far cantare... evidentemente è qualcosa che io devo comprendere, qualcosa che devo imparare. E non potrò proseguire, finché non lo avrò fatto."
FI rimase imperturbabile, ma stranamente sentii che fu soddisfatto della risposta.
- "Allora..." mi disse "...impara, impara ed ascolta. Buona notte."
Non disse altro e se ne andò, lasciandomi nuovamente solo con l'uccello.
Passarono le ore... la notte. Provai nuovamente a cantare, ballare, parlare... nulla. L'uccello dorato era muto. Comunicava solo attraverso la sua energia, faceva turbinare l'aria, ma nulla che sembrasse un canto. Seduto di fronte a lui in silenzio, mi sentivo davvero esausto... i cuscini di velluto erano così morbidi. Nel giro di un minuto mi addormentai. E sognai... Sognai cieli, nuvole, vento tra i capelli: mi svegliai di soprassalto, con l'aria che mi scompigliava i capelli, mossa dall'energia dell'uccello. Era mattino ormai... Cieli, nuvole... fissai l'uccello dorato negli occhi e finalmente capii.
Balzai in piedi e corsi verso l'uscita: quasi mi scontrai con FI, che ovviamente si era scansato prima che aprissi con violenza la porta.
- "Chiama il Re!" Gli dissi concitato. "So come far cantare l'uccello dorato."
- "Lo so..." Disse lui. "L'ho già chiamato."
- "Sai anche che potrebbe non esserne così felice?"
FI annuì.
Poco dopo erano tutti là: FI, RI, il Re, le guardie, la Regina Morgana e molte altre fate. Tanti erano venuti di corsa, per vedere se effettivamente sapevo far cantare l'uccello dorato. Molti affollavano la via fuori del palazzo, una grande folla si era radunata.
Tutti mi fissavano: avevo spalancato tutte le finestre, per far udire il canto anche fuori, dissi. Entrai nella gabbia e scese un silenzio totale, sia dentro, che fuori la reggia. Mi avvicinai all'uccello dorato e ci fissammo negli occhi per lungo tempo: il vento mi scompigliò i capelli. Lo accarezzai e gli sussurrai all'orecchio, cose che nessuno udì. E lui reagì, per la prima volta fece un movimento, la prima volta in centinaia di anni, seppi poi. Annuì, mosse la testa in su e in giù. E scrollò le ali... una prima volta.
Mi voltai e andai al lato opposto della gabbia: e di nuovo lo fissai. Lui scrollò nuovamente le ali, più forte. Tutto il pubblico rumoreggiò e mormorò: ma ancora l'uccello non aveva cantato, né fatto alcun suono...
Mi appoggiai sconsolato alle sbarre e scuotendo la testa... "Noooo.*" Tintinnò il pubblico. "Non c'è riuscito!*" Esclamò qualcuno.
Appoggiai le mani, una ad una sbarra, una all'altra. L'uccello tacque, ma spalancò un poco le ali. Fu allora, che chiamai il Toro; la mia forza interiore. La chiamai, con tutta la forza di cui ero capace e il Toro rispose! La folla gridò, mentre prendevo la forma: crebbi e spinsi, spinsi con tutta la forza che avevo contro le sbarre. L'uccello si agitò, si alzò sulle zampe, allungò il collo! Misi tutta la mia forza, contro il metallo: il cuore mi batteva potente nel petto, le vene mi si gonfiarono... infine... le sbarre... cedettero e si allargarono, con uno stridore assordante.
Tutti mi guardavano allucinati: tutti tranne FI, che sorrideva... Tornai, ansimante ed esausto, alla mia condizione normale. Le sbarre ricurve e ritorte, ai miei lati... le finestre aperte, alle mie spalle.
- "Va... amico mio." Dissi. "Sei libero."
- "Noooo!! Fermatelo!! E' pazzo!!*" Sentii il Re gridare, le guardie, dopo un attimo di smarrimento, si gettarono verso la gabbia... ma ormai era tardi.
L'uccello dorato spalancò le ali più grandi che avessi mai visto: fece un passo incerto verso le sbarre allargate... poi un altro più sicuro... poi cominciò a correre... e si gettò attraverso l'apertura. Sbatté le ali e si lanciò... oltre la finestra... e sfrecciò sopra la folla, che ne rimase abbagliata, mentre il sole del mattino illuminava il grande uccello dorato!
- "Ooooh!!" Gridarono tutti.
E l'uccello girò e girò e sbatté le ali e salì più in alto: il vento gli accarezzò il corpo, le piume... così come tante volte mi aveva fatto provare quella notte, con la sua energia. Il vento, il cielo... la libertà di volare...
Piroettò su sé stesso... aprì il becco... e cantò!!
E tutto fu silenzio. Il villaggio delle fate, la reggia, l'intera foresta... ogni cosa tacque, mentre il suono più celestiale mai udito, si disperdeva nel vento!
:-) bella la metafora dell'uccello d'orato...
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