mercoledì 22 maggio 2013

Alla ricerca del tesoro nascosto - X - Il villaggio delle fate

Aprii gli occhi... non avevo la minima idea di dove mi trovassi, né ricordavo nulla di quanto accaduto.
La testa mi pulsava e quando provai a tastarmela con una mano, mi accorsi di avere i polsi saldamente legati.
 
- "Diavola della miseria..." Biaschicai...
E neppure vedevo nulla, ma la sensazione di stoffa sugli occhi mi suggerì che ero bendato. Bendato e legato, chissà dove e chissà da chi... Strani omini con le ali.
 
<<Fate...>> Disse la voce nella mia testa.
- "Le fate... eh, non potevano di certo mancare, no?"
 
Dissi quella frase a voce alta e subito percepii qualcuno che si muoveva accanto a me. Ne ebbi conferma, quando iniziarono a parlare tra loro, in una qualche lingua strana. Era un suono strano, come di campanelle, eppure componeva parole... non avevo mai udito simili voci.
 
Mani mi afferrarono e mi fecero alzare, i polsi sempre legati: mi girò la testa e quasi cadde, ma le mani mi sostennero e mi trascinarono in avanti. Mio malgrado dovetti camminare.
 
- "Dove mi portate?" Chiesi, ma ovviamente non ottenni risposta.
Sentii come una porta che veniva aperta e pietra fredda sotto i piedi... ero ancora nudo, nudo come un verme. Scale... incespicai e quasi mi trascinarono di peso, mentre dall'alto sentivo provenire, sempre più forte, molte voci, simili a quelle dei miei carcerieri.
 
Sentii una porta che veniva aperta di fronte a me e subito il vociare crebbe: divenne quasi stridulo, una specie di mormorio concitato. Venni spinto avanti... le voci erano tutte attorno a me.
 
<<Un'assemblea di fate.>> Disse la voce nella mia testa. <<E tu sei nel mezzo...>>
 
La benda mi venne finalmente tolta, ma dovetti chiudere gli occhi, feriti dalla potente luce. Li aprii... piano piano, lasciando che si abituassero nuovamente a vedere... Il colpo d'occhio fu impressionante.
 
Mi trovavo al centro di una grande sala, in una specie di gabbia: tutto attorno agitavano le ali uno stuolo di strane creature. Fate... alte poco meno di una persona, esili: si distinguevano facilmente i maschi dalle femmine, vestivano di colori sgargianti e parlavano tra loro facendo una gran confusione. Ad un certo punto, su uno scranno più alto, si fece avanti una fata: una femmina, una specie di capo forse, poiché tutte le altre si tacquero. I capelli erano multicolori, verdi, blu, rossi: le ali erano simili a quelle di una grande farfalla e degli stessi colori dei capelli. Scambiò alcune parole con alcune altre fate che aveva attorno, poi si rivolse a me.
 
- "Io sono Morgana, regina delle Fate." La sua voce produceva un scampanellio profondo e vibrante. "Tu, umano, chi sei che osi entrare nel nostro regno e bagnarti nei nostri laghi? E bada a non mentire, poiché noi Fate sappiamo riconoscere ogni menzogna."
 
<<Stronza e irritante fattucchiera...>> Mugugnò la voce nella mia testa.
 
- "Nobile regina..." cominciai io "...ho perduto la strada, non avevo intenzione di profanare il vostro territorio. Arso dalla sete e dalle bruciature, ho trovato conforto nella vostra acqua, ma senza alcuna intenzione avversa a voi o al vostro popolo, di cui per altro, ignoravo finora l'esistenza."
 
Risate, risate scampanellanti e irritanti da parte delle fate. La regina stessa sorrise sarcastica e iniziò a parlottare con una fata accanto, ignorandomi completamente. Improvvisamente sembravo diventato invisibile.
 
<<Senti quello che dicono?!>> Vociò la mia voce interna.
- "Come posso?" Chiesi io. "Sento, ma non capisco la loro lingua."
<<Questo non è possibile. Questo è il tuo mondo interno: spesso non lo esploriamo, lo dimentichiamo, ma tutto ciò che c'è lo abbiamo messo noi. Concentrati, so che puoi ricordare."
 
Chiusi gli occhi... lasciai che la mente si dissolvesse e le voci delle fate mi attraversarono. Turbinarono nella mia mente, come campanelli e lentamente un'immagine prese forma... "La voce delle fate."
  
Ricordai... io bambino in una notte di vento. Avevo udito qualcosa di strano, come una strana voce. Ero piccolo, abbastanza da non aver paura di niente, così sgattaiolai al buio fuori dal letto, fuori dalla porta e giù per le scale, nel villaggio di montagna immerso nella più completa oscurità... Il rumore mi chiamava, voci argentine e agitate, finché non giunsi nel campo di un vicino. Campanelli venivano attaccati a fili all'epoca, per spaventare e allontanare animali ed uccelli che potessero danneggiare il campo, ma io bambino ignoravo ancora quella pratica. Al buio, in mezzo al campo, sentivo solo tutto attorno a me un vociare argentino. Immaginai allora che creature bellissime e invisibili mi parlassero e io rispondevo loro a tono. "Din din din, dan dan dan." - "Din din din, don don don." E nella mia testa non ancora civilizzata, quei discorsi avevano molto senso.
   
- "Questi stupidi umani sono una vera seccatura. I bambini sono adorabili e capiscono ogni cosa del mondo, ma crescendo... perdono la ragione.*" Udii queste parole uscire dalla fata maschio che parlava con la regina.
Non aveva cambiato linguaggio, parlava nella sua lingua, ma ora ero in grado di comprendere.
 
- "Tipico degli umani." Rispose la regina storcendo il naso. "Non badano a ciò che hanno attorno, a ciò che hanno sotto il naso: rifiutano la verità anche quando gli si palesa chiaramente. Non sanno distinguere ciò che è sacro da ciò che non ha valore.*"
- "Bruciature..." Continuò l'altra fata. "Effettivamente i suoi vestiti sono corrosi, come se li avesse investiti una grossa fiammata. Chiediamogli come è successo?*"
 
La regina si rivolse a me, ma prima che potesse parlare, iniziai io, nella loro lingua e improvvisamente l'assemblea tacque, nel più assoluto stupore.
 
- "Queste bruciature, di cui vi ho già parlato..." dissi, con un tintinnante suoni di campanelle "...sono frutto di uno scontro. Alla torre che sorge poco distante dai vostri confini, una fanciulla vive segregata. Il drago che protegge l'entrata mi ha quasi incenerito ed ecco il perché delle mie ustioni. Vagando alla ricerca di aiuto, ho perduto la via nella vostra foresta, ma vi posso assicurare che so distinguere ciò che è sacro. Sacra fu l'acqua, che mi curò le ferite e mi rinfrancò, dopo la lotta. Sacra fu la donna, che quando ero affamato, mi nutrì di frutta e amore. Sacro è il mio spirito. Forse sono meno sacri coloro che, trovato un uomo stanco e ferito, lo privano dei logori indumenti, lo catturano con trucchi infidi, lo tengono bendato e legato e lo trascinano nudo, sporco e umiliato al centro di un'assemblea, per esporlo al pubblico ludibrio. Senza che egli abbia fatto alcun male a nessuno.*"
 
E mentre parlavo, la mia voce era cresciuta di volume, fino a diventare una tuonante campana di bronzo.
 
L'assemblea di fate mi fissava ammutolita, compresa la regina. Ad un tratto, un campanellino isolati si mise a tintinnare in un'allegra sincera risata. Una fata, nel pubblico, aveva iniziato a ridacchiare: attiratasi le occhiate di tutta l'assemblea, si mise una mano sulla bocca e finse di tossire, suonando come un campanaccio scassato.
 
- "Come conosci tu la nostra lingua?" Chiese la regina, riportando lo sguardo su di me. "Nessun umano la conosce.*"
- "Molti anni fa, in una notte di vento, parlai con voi, in un campo nell'alta montagna in cui bambino andavo d'estate. Mi fermai per ore... a quell'età le lingue si imparano in fretta, soprattutto se sono lingue del cuore.*"
Un mormorio sorpreso si alzò tra le fate.
- "Il bambino fatato! Il bambino fatato!*" Ripetevano tutti.
La regina stessa aveva strabuzzato gli occhi. Scese dallo scranno, sbattendo piano le ali... lenta, si avvicinò a me. Mi specchiai, nei suoi grandi occhi color del rame.
  
<<Che aspetto orrendo...>> Commentò la mia voce interiore, vedendomi strapazzato e stanco.
  
Allora la regina sorrise e mi prese il volto tra le mani.
- "Sei tu..." disse "Sei proprio tu. Non stai mentendo, altrimenti me ne accorgerei... Anche allora avevi la tua voce insolente dentro di te, la voce di ogni bambino, che lo fa parlare con noi e compiere marachelle. Che lo fa sognare, che lo fa essere libero. A lungo hai fatto tacere quella voce e l'hai tenuta nascosta.*"
 
<<Sono molto più forte di quanto credevo.>> Rispose la mia voce interiore. <<E' bello parlare nuovamente ed essere uditi. Grazie, mia regina.>>
 
- "Nessuno si perde davvero." Proseguì lei. "Semplicemente i tuoi piedi conoscono strade che la tua mente ignora: quando ti perdi, non ti stai perdendo davvero. Superata la paura, giungi in luoghi ignoti e inesplorati, protetti da porte nascoste. Perdersi è solo la chiave per aprire quelle porte segrete, per giungere là dove hai sempre voluto arrivare.*"
Alzò la voce.
- "Fata Risatina Insolente!*"
 
Qualche fata del pubblico rise, mentre la fata che prima aveva riso nel silenzio generale, avanzava, con gli occhi bassi. Sottile come un giunco, le ali simili a quelle di una rondine, di colore blu sfumanti in argento, così come i capelli: gli occhi erano verdi, a forma di foglia di quercia e la pelle bianca, ma striata di scuro, come la corteccia di una betulla.
 
- "Ti occuperai di Bambino Fatato (il mio nome per le fate, ndr). Lo curerai e lo vestirai, dopodiché lo condurrai dal Re!*"
- "Dal Re?!*" Esclamò Risatina Insolente.
- "Dal Re?*" Ripetei io.
<<Dal Re?*>> Si aggiunse la voce nella mia testa.
 
- "Hai affrontato il Drago Guardiano!" Rispose la regina. "Sei fortunato ad essere vivo, o incredibilmente forte. Solo il Re può insegnarti come sconfiggerlo.*"
- "Allora..." dichiarai io "...andrò dal Re!*"
 
to be continued...



* Parla nella lingua delle fate

2 commenti:

  1. Molto, molto bello il riferimento a te bambino, alla notte di vento e ai campanelli.

    Forse non avrei dovuto paragonarti agli autori di Beautiful ma è così divertente farti incazzare :)

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    1. Mmm, dov'è che ho lasciato l'indirizzo di quello stregone voodoo...

      :)))

      Grazie!

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