venerdì 28 dicembre 2012

Scalare la montagna - 2

A volte vivere è proprio come scalare una montagna.
 
La strada è in salita, oppure in discesa, quasi mai in piano. Puoi incontrare luoghi magici e bellissimi e sorgenti a cui dissetarti, oppure luoghi irti di rocce e pericolosi, da cui puoi cadere e schiantarti.
 
Siamo tutti piccoli di fronte alla montagna e chiunque la ami davvero, sa che bisogna avvicinarsi ad essa con umiltà e con rispetto. La montagna va capita, ma assecondata, va sedotta, va studiata, sfidata a volte... ma non bisogna mai prenderla con leggerezza, o con arroganza, o con prepotenza... 
  
Non siamo noi ad essere "bravi" a scalare una montagna: è la montagna a darci il permesso o meno di salire su di essa. Il buon scalatore sa sedurre la montagna, affinché essa ci apra le sue braccia e ci accolga; soprattutto sa accorgersi quando la montagna è di cattivo umore, quando è furiosa, quando è meglio non disturbarla.
 
Suv, fuoristrada, piste a 4 corsie... alcune persone pensano di poter dominare la montagna con la forza, di piegarla ai propri voleri. E la montagna li lascia fare, pare... ma pensateci; quando la montagna vi accoglie, vi apre le braccia, vi porta in alto, vi fa sentire vittoriosi e meravigliosi, in cima al mondo, è una delle sensazioni più belle del mondo.
 
Una sensazione che la montagna custodisce gelosamente e da solo a chi sa conquistarla.
  
Questi stupidi che pensano di sentirsi tanto grandi, perché hanno mezzi potenti, perché violentano la montagna con la propria furia, perché arrivano ovunque senza fatica... in realtà non avranno nulla. Non proveranno la meravigliosa sensazione di aver raggiunto il cielo, non sentiranno la gioia di aver aperto il cuore al mondo.
  
Arriveranno in cima certo, velocemente, senza sforzo: ma i loro occhi si apriranno sul nulla, poiché il loro cuore è rimasto chiuso, perché la montagna non gli concederà il suo amore. E si sentiranno male, vuoti, annoiati...
  
La vita è come scalare una montagna... puoi sedurre la vita, ascoltare la vita, parlare con la vita. La vita poi non è altro che ciò che abbiamo nel cuore. Noi stessi, i nostri sentimenti, le nostre paure e passioni sono la montagna che noi scaliamo vivendo.
 
Quante volte facciamo come gli stupidi: pensiamo che con un Suv (o un cellulare, o spiagge alle maldive, o altre stupidaggini) arriveremo alla cima della montagna, in cima alla nostra vita. Certo, ci arriveremo, ma saremo vuoti, perché avremo schiacciato tutto ciò che sulla via abbiamo incotrato.
 
Troppe volte ci violentiamo e poi stiamo male, stiamo male perché non abbiamo trovato quell'amore di cui abbiamo tutti bisogno.
 
Semplicemente perché sembrava troppo faticoso andarlo a cercare: ci vuole troppo tempo per ascoltare la vita, capire la vita... troppa fatica per sedurre la nostra montagna, affinché ci accolga.
  
Ritroviamo allora il gusto di conquistare la vetta: un passo alla volta. Impariamo a conquistare noi stessi, col pensiero prima di tutto e poi con l'azione.
 
In fondo vivere è bello, anche se faticoso... proprio come scalare una montagna...
 


sabato 22 dicembre 2012

Scalare la montagna

Quello che vi racconto oggi, è una cosa davvero accadutami qualche anno fa, per l'esattezza il 9 luglio del 2006...

Non stavo bene in quel periodo, fisicamente e emotivamente... non ero felice.
Ero malato, prendevo medicine... tante medicine... ed ero stanco, tanto stanco di vivere e di soffrire...

Una mattina mi svegliai... erano le 5 di mattina. Il dolore era in tutto il corpo... insopportabile... mi tormentava da settimane...
Mi alzai barcollando a prendere le medicine che mi avevano dato, per calmarlo; aprii la confezione e rimasi là, con la pastiglia in mano.

"Non si può vivere così..." pensai.

Avrei voluto gridare tutta la mia rabbia contro Dio! Un Dio che mi puniva senza motivo! Un Dio che non mi considerava, che se ne infischiava di me! E... diamine, decisi di farlo davvero! Pensai alla grande croce di pietra che qualcuno aveva messo in cima alla montagna...

Prima che me ne rendessi conto, le medicine erano nella spazzatura e io ero sul sentiero. In principio provai a correre, ma la salita era dura e fui costretto a camminare. Il dolore mi faceva impazzire, l'aria fredda e pungente mi feriva la gola e i polmoni... le gambe tremavano nello sforzo.

"Adesso mollo." Mi dicevo. "Faccio ancora 100 metri e torno indietro."

Ma poi, fatti quei cento metri, mi dicevo "Arrivo fino a quel sasso, fino a quell'albero..."

La luce aumentava... qualche uccellino si fece sentire tra gli alberi. Il sentiero si apriva sulla valle, di tanto in tanto e io osservavo le case e i villaggi farsi sempre più piccoli, mentre continuavo a ripeterrmi "Ancora un passo e mi fermo, ancora un passo..."

E così continuai a salire... Bruciavo di febbre, la saliva si era fatta spessa e non riuscivo più a deglutire, il cuore mi martellava nelle orecchie, nella gola, nella schiena, ovunque... Ma io non ascoltai.

Avanti e avanti... un passo alla volta. Passai l'ennesima curva, superai l'ennesima salita ripida... Non so quando accadde, ma ad un certo punto, seppi con assoluta certezza che non sarei tornato indietro. Sarei arrivato in cima. Smisi di ripetere il mantra "torno indietro, torno indietro"...

Sentivo qualcosa di diverso in me, sentivo una forza nuova e sconosciuta che spingeva le mie gambe. La stanchezza era svanita e io mi sentivo leggero. E corsi... corsi dimentico di tutta la strada che avevo fatto fino a quel momento.

Arrivai sulla cresta della montagna, ormai la cima era alla portata dei miei occhi... e proprio in quel momento, il sole fece capolino tra le montagne e mi illuminò! Un branco di cervi fuggì, sentendomi arrivare e io mi sentivo forte, veloce come loro, mentre le gambe mi spingevano verso l'alto. Gli ultimi cento metri li feci quasi volando!

Mi fermai ansante ai piedi della grande croce. Un cielo enorme, azzurro, si stagliava su di me, illuminato da uno splendido sole. I paesi, le valli, la mia vita, i miei problemi, erano piccole cose lontane sul fondo: ero in cima al mondo!

Avevo percorso 12 chilometri, con 1000 metri di dislivello... erano passate due ore, dal mio terribile risveglio. E mi avevano detto di evitare gli sforzi...

Mi resi conto solo allora di sentirmi bene, come non mi ero mai sentito prima: di non provare più dolore, né disperazione, né paura. Allargai le braccia, inspirando a pieni polmoni e urlai, non più di rabbia, ma di gioia! E il mio grido riempì il cielo e rimbombò tra le valli!

Guardai la grande croce e chiesi a Dio
"Perché tutta questa fatica? Non potevi farmi stare bene e basta?"

La risposta mi venne in mente da sola.
"No, non potevo. Se tu fossi stato bene non avresti mai voluto urlare contro di Me, non avresti attraversato sentieri, boschi, dirupi per venirMi a cercare. Non avresti mai visto il mondo addormentato, la foresta, il sole all'alba che ti illumina, non avresti mai visto i cervi. Invece, affrontando il tuo dolore, hai scoperto la tua forza, la tua volontà, hai superato tutti i tuoi limiti pur di sfidarMi. Hai lasciato i tuoi dolori in fondo alla valle e hai scalato la Montagna!"




mercoledì 12 dicembre 2012

La storia dello sciatore

Ho imparato a sciare quando ero bambino.
Sono passati anni ormai, ma ricordo di aver già allora appreso una verità fondamentale.
Ricordo che i primi tentativi non erano stati incoraggianti... Nessuno nasce imparato, come si suol dire.

La cosa curiosa è che davo la colpa agli sci: "Questi non vanno bene, cado, non riesco ad andare." Ne provavo altri, ma il risultato era il medesimo. "No, non vanno bene nemmeno questi." Altro cambio, stesso risultato.

"Caspita, per quanti sci provo, il risultato è sempre lo stesso." Pensavo. E andò avanti così, finché non imparai a sciare. Perché ovviamente la colpa non era degli sci, era solo il fatto che non avevo ancora imparato; ma senza riflettere su questo punto, mi ero fatto l'idea che gli sci fossero cattivi, che ce l'avessero con me, che fossi io sfortunato a trovare solo sci che non funzionavano...

Sorrido, ripensando ora a quei giorni. Eppure vedo persone, ormai adulte e "mature"(?), fare lo stesso ragionamento.

"Con gli uomini/donne mi va sempre male. Il mondo è pieno di stronzi/e."
"Non trovo un lavoro che mi soddisfi, certo che il governo, i padroni, l'economia..."
"Non ho amici, nessuno mi capisce."

Ecc, ecc... gli esempi possono essere milioni. E come quel me stesso bambino, scarico la responsabilità sull'esterno, sull'oggetto, su qualcosa o qualcuno... al di fuori di me.

Ci sono sci migliori di altri, nessuno lo nega: è soggettivo, io posso trovarmi bene con alcuni sci, altri possono trovarsi bene con altri. Una cosa però è certa: finché non imparerò a sciare, qualunque tipo di sci mi sembrerà orribile.

E lo stesso vale per lavori, fidanzati, relazioni e tante tante altre cose.

Il primo passo è rendersi conto che, per cambiare una situazione che non ci piace, il primo passo è riconoscere che il problema non è solo fuori di noi (la neve, gli sci, ecc), ma è anche dentro di noi (imparare a sciare). Neve, sci, difficoltà sono immutabili, non si possono eliminare: ciò che possiamo fare è agire su noi stessi e imparare... 

E poi, una volta imparato, basta davvero poco, per divertirsi alla grande!


lunedì 10 dicembre 2012

Ogni momento ha le sue scelte, ogni scelta ha il suo momento

Il momento è ora.

Ogni tanto sarà capitato a tutti di pensare o dire queste parole.
Ogni momento della giornata ha le sue scelte da fare, e ogni scelta che dobbiamo prendere ha il suo momento.
Maturazione... questa è la parola che mi risuona in testa. Amo le metafore contadine, lo sapete. La terra ci regala verità straordinarie.

Noi siamo frutti, dentro di noi abbiamo frutti, dentro di noi abbiamo interi giardini. E ogni frutto, che è dentro di noi, è una scelta, una situazione, un ragionamento, di cui noi abbiamo piantato il seme. E se quel seme lo coltiviamo, lo curiamo, lo accudiamo... non servirà niente altro, quel frutto maturerà dentro di noi e noi lo coglieremo.

Troppe volte ci facciamo violenza, o subiamo la violenza di altre persone o del mondo: magari pretendiamo da noi che quei frutti siano già pronti, quando invece magari non lo sono. E noi stessi a volte lo facciamo con altre persone, pretendendo che sappiano compiere delle decisioni o fare delle scelte per cui non sono pronti.

E allora cerchiamo di estirpare, da noi stessi o dagli altri, un frutto, quando ancora la sua preparazione non è completa. Invece di attendere con pazienza il momento giusto, o aspettare con pazienza che la persona da cui vogliamo quel frutto sia pronta... strappiamo con la violenza quel frutto così com'è. E non saremo soddisfatti del risultato, perché quel frutto è acerbo, amaro, inmangiabile... e lo avremo rovinato per sempre, perché una volta strappato, non riusciremo più a rimetterlo al suo posto, perché prosegua la sua maturazione.

Troppe volte ho subito questo tentativo... Persone o situazioni che pretendevano: volevano che io fossi qualcosa che non sono, che dessi frutti che dentro di me non erano ancora maturi. E quanto è difficile dire: "No!". Quanto è difficile capire che quel frutto non è ancora pronto, che viene donato con violenza, anziché con pazienza?

Lo sentiamo dentro di noi... sentiamo una lacerazione, un dolore. E allora dobbiamo difendere i nostri frutti, coltivare quelli che desideriamo e raccoglierli solo quando sono maturi. Lo sentiamo dentro di noi, quando viene il momento di farlo.

Il momento è ora.

E solo quello è il momento giusto.

Devi dimagrire, sei grassa! Le donne se lo dicono spesso... ma invece di coltivare con pazienza dentro di loro il frutto della salute, cercano di strapparselo di dosso con la violenza. La salute peggiora e non vi sono risultati.

Devi studiare, sei stupido! Abbiamo le nostre scuole piene di bambini e ragazzi svogliati: solo perché invece di coltivare la loro curiosità e lasciare che spontaneamente ricerchino la conoscenza che più gli piace, li obblighiamo, li costringiamo, violentiamo le loro menti fertili per fargli dare i frutti che vogliamo noi... Creando così generazioni di gente depressa e svogliata, che non ha curiosità e amore per la vita.

Devi, devi, devi... Dammi, dammi, dammi...

E non facciamo altro che raccogliere frutta acerba e cattiva, che ci fa pretendere ancora di più...

La pazienza: la capacità di coltivare con amore e lasciare che ogni cosa maturi al momento in cui deve maturare. Per fare un bambino, bisogna paziantare nove mesi: se cercherò, per la fretta, di volerlo prima, lo ucciderò... 

Lasciamo che ogni cosa maturi e cogliamola.

L'altro taglio della lama, infatti, consiste nell'aver poi paura o pigrizia di cogliere quel frutto ormai maturo, col rischio che marcisca e sia dunque da buttare.

Lo facciamo spesso: magari risparmiamo per comprare qualcosa che ci sta a cuore e poi non la compriamo, perché ci sembra stupida o qualcuno ci convince che lo sia...  Oppure rinunciamo ad un corso, o ad un viaggio, che sentiamo di dover fare... Non cogliamo una trasformazione che sentiamo avvenire dentro di noi.

Ecco l'Ignavia, di cui ho già parlato in questo blog... Mi fa paura. Una paura dannata. Perché l'ignavia porta a non raccogliere i frutti, porta a marcire... Quanta gente marcisce nella propria vita?

Invece, come buoni contadini, dobbiamo compiere tutti questi passi.
Con amore e disciplina, seminare i frutti che desideriamo raccogliere.
Con cura e dedizione, prenderci cura di quei frutti, senza volerli vedere subito maturare, ma lasciando che essi stessi compiano il loro percorso di maturazione.
Raccoglierli al momento giusto, così che siano buoni e ci nutrano nell'anima.

Purtroppo, se uno solo di questi passi viene a mancare, non raccoglieremo nulla... e la nostra vita sarà sterile.
Se invece ci riusciremo, allora la nostra vita sarà piena di frutti e la nostra anima sarà appagata.



martedì 4 dicembre 2012

Spiriti indomabili

C'è chi ha sfidato il mondo... e ha perso.
C'è chi non ha ubbidito alle imposizioni... ed è stato schiacciato.

C'è qualcuno al mondo, che non riesce ad imporsi il buon senso: ha una forza dentro inarrestabile, che deve seguire ad ogni costo, contro ogni regola, ogni legge, rischiando tutto... affetti, libertà, perfino la vita.

La gente comune teme queste persone: le chiama folli, stupidi, criminali... e a volte criminali lo sono davvero.
Non hanno rispetto per nulla e nessuno: animati dalle proprie passioni e dai propri istinti, sono prigionieri innanzi tutto di sé stessi, di questa foga inarrestabile... Prigionieri della propria libertà.

Condanno i loro comportamenti: amo la libertà, ma questa non può essere utilizzata per distruggere le persone attorno a noi. Eppure... allo stesso tempo sono affascinato... Sento il richiamo dell'abisso, della parte oscura. La parte luminosa la bilancia, come in quasi tutte le persone... il buon senso prevale, ma non sempre.

Sono un border-line: sul ciglio dell'abisso... Avverto la paura del vuoto e vorrei fuggirne, ma allo stesso tempo mi attrae e non riesco ad allontanarmene. L'abisso mi chiama... vuole la mia anima, promette di saziare la mia anima affamata.

E' un gioco pericoloso...

C'è chi ha sfidato il mondo... e ha perso.

E pur tuttavia, hanno avuto il coraggio di lanciarsi, di provare... e si sono schiantati, distruggendosi.
Mi sporgo sull'abisso e vedo le loro anime sfracellate sul fondo... si sono scagliati oltre il bordo del dirupo con la foga e la follia che li possedeva, consapevoli o no di quanto rischiavano.

Non riesco a giudicarli, non posso: poiché una parte di me li vuole seguire, si vuole immergere nell'oscurità fino a sparire, fino ad impazzire e sganciare questi pesi che la razionalità ci impone di portare...

Sento il richiamo... e non posso fingere di non sentirlo...




mercoledì 28 novembre 2012

Vite passate

Il rumore sordo e incalzante di zoccoli risuona nella solitudine della prateria; la linea incerta dell'orizzonte si confonde con il cielo azzurro  intenso che preannunzia l'oscurità della notte...folate di vento ne disperdono l'eco fra le gole aspre e i dirupi scoscesi che si stagliano all'orizzonte. Le prime ombre della notte dissegnano strisce scure nella luce che si ritira, creando giochi bizzarri di luce e d ombra...
Il galoppo si fa più serrato; nel silenzio della notte imminente si odono già i richiami aspri degli uccelli notturni che, risvegliandosi dalla calura del giorno, si apprestano a intraprendere la caccia silenziosa...
Come sorgendo dalladistesa sconfinata, lo scalpitio di un altro cavallo si ode ora percuotere la terra... la stessa andatura ritmata, lo stesso brontolio affannoso del respiro appena percepibile nel vento notturno...
Due ombre scure e veloci procedono verso la stessa direzione... convergono verso lo stesso punto, una piccola valletta erbosa seminascosta da un'alta parete rocciosa che precipita a strapiombo da un'altezza mozzafiato...
I cavalieri smontano nello stesso momento nel luogo convenuto...il loro respiro è appena udibile nel silenzio della notte. Dopo aver liberato i cavalli per il riposo notturno, le due ombre si volgono l'una verso l'altra, fondendosi in un lungo, silenzioso abbraccio... Gli occhi di Rugiada del Mattino splendono ardenti alla luce della luna ormai alta in cielo... il suo chiarore freddo riversa fiotti di luce argentea nella valletta silenziosa, rendendo quel luogo nascosto, irreale, sospeso nel tempo, nello spazio...
Freccia Sicura la stringe a sè a lungo, senza proferire parola... Quando i due si separano a malincuore l'uno dalle braccia dell'altro, l'incantesimo è rotto soltanto dal bisbiglio sommesso delle loro voci, che si scambiano le ultime novità delle loro tribù.
Le notizie non sono buone: Il Consiglio degli Anziani ha deciso di intraprendere il sentiero di guerra contro la tribù da sempre nemica...
Una guerra crudele, inutile, sta per scatenarsi fra le due Nazioni avversarie, nè mai Freccia Sicura potrebbe sottrarsi da questa decisione, essendo un membro della Fratellanza dei Guerrieri...
Lacrime silenziose rigano il  volto aggraziato di Rugiada del Mattino...
Che senso ha muoversi guerra fra le due nazioni sorelle, non è forse Madre Terra la madre e nutrice amorevole di tutte le sue creature?
La terra era fertile, il cibo abbondante nella buona stagione dell'estate, e con la caccia si potevano mettere al sicuro scorte abbondanti  per il nutrimento e la sopravvivenza della tribù nel duro inverno  che sarebbe sopravvenuto...
La cacciagione era ricca, i pascoli della prateria vasti come il mare... Erano nati i bimbi del Sole , che portavano la vita nel futuro...
La dolce Madre Terra accoglieva ogni creatura, accogliendola e nutrendola con amore, senza distinguere fra amico o nemico... Ognuno occupava il suo posto nel cuore della Madre...
Perchè gli uomini avevano rotto l'armonia del Creato?
Le prime luci dell'alba li sorprese ancora abbracciati... Era tempo di tornare, dovevano separarsi per non essere scoperti e puniti entrambi con la morte, per aver trasgredito le ferree leggi di sangue del loro clan... o peggio ancora, con la cacciata dal loro gruppo di appartenenza. L'essere banditi li avrebbe resi spregevoli agli occhi degli altri membri della tribù... dei morti viventi...
I cavalli si allontanano al galoppo in direzioni opposte... l'eco dei loro zoccoli risuona con un suono funesto nel loro cuore... ogni battito scandito è come il rullio dei tamburi di guerra che annunziano morte e distruzione...

sabato 24 novembre 2012

Società del benessere?

Mi è capitato, di recente, di visitare un allevamento di bestiame da carne.
Non intendo fare qui discussioni sul consumo o meno di carne d'allevamento; ciò che voglio esprimere è un pensiero, terribile e angosciante, che mi ha colto vedendo quegli animali messi all'ingrasso...

Stanno... bene... Non devono faticare, non devono combattere per il cibo, perché ne hanno in abbondanza, troppo perfino!
Hanno un tetto sulla testa, un luogo dove stare senza paura di predatori. Tutto concesso dalla mano amorevole dei loro padroni, che sanno benissimo di dover accrescere il "benessere" dei loro animali, per accrescere i propri profitti.

Dio santo benedetto... Non è forse quello che accade a noi... La società del benessere, cos'è, se non un immenso allevamento? Siamo allevati da padroni, cresciuti, pasciuti, rimpinzati di cibo, prodotti, immagini, ingrassati... solo per essere poi divorati! Cosa altro ci accade? Ci ingozziamo e ci consumiamo, per aumentare i profitti dei nostri padroni...

Siamo divorati, non nel corpo, ma nello spirito, nella vita, nei valori, nella fatica del lavoro (chi lo ha)... nel ricatto del "o vivi nel nostro allevamento, o muori di fame".

Non ci rendiamo conto, di essere solo carne d'allevamento... allevati per il macello...
Un animale selvaggio muore forse prima, vive una vita più faticosa, più pericolosa, più scomoda: magari soffre fame e sete, ma i suoi occhi sono vivi, fieri, selvaggi...

Avete mai guardato negli occhi un animale "da carne"? Non c'è più anima in quel corpo, non c'è più spirito...
"Libertà" è una parola sconosciuta... un sogno portato dal vento... lontano...

Quando ci fissiamo negli occhi allo specchio (se ancora lo facciamo)... cosa vediamo?



P.S.: Festeggio oggi, un anno esatto dall'inizio di questo blog. E' una bella avventura, che non pensavo davvero sarebbe durata tanto... di solito sono molto incostante nei miei intenti. Tanti auguri a me, Joker!

giovedì 15 novembre 2012

Quando non pensi, dici quello che pensi

A volte succede: ci scappa. Siamo sovrapensiero, nervosi, o semplicemente distratti ed ecco, scappa quella frase sbagliata. Diciamo ad una persona qualcosa che la offende, che la fa arrabbiare, che la abbatte di morale, che comunque la fa soffrire...

Poi proviamo a rimediare: "Non volevo dire quello.", "Mi è scappato", "Non lo penso davvero."

Chi vogliamo prendere in giro: è proprio perché non abbiamo "pensato", ovvero non abbiamo filtrato la frase, che quella è uscita esattamente come doveva essere. I bambini lo fanno sempre, noi solo quando "ci scappa"...

E così penso che essere sinceri a volte è difficile... essere sinceri con sé stessi e con gli altri. Riusciamo ad esserlo solo se non pensiamo troppo: riusciamo ad esserlo se togliamo il filtro e se lasciamo che i nostri pensieri escano così come sono... accettabili o no.



lunedì 12 novembre 2012

L'eterna sfida: la ricerca di sé stessi

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. 48

Fama di loro il mondo esser non lassa;

misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa
". *51 



Queste parole mi hanno colpito molto: è Virgilio, che spiega a Dante la sorte degli Ignavi. Coloro che "mai fuor vivi" e pertanto non possono morire...

E' il primo "peccato" da cui Dante vuole disfarsi: l'immobilità, la mancanza di passione per qualunque cosa, l'assenza di voglia, per paura, pigrizia. Il rifiutarsi di affrontare le sfide...

C'è stato un tempo in cui ho conosciuto la foga della lotta: c'è stato un tempo in cui ho spinto il mio corpo oltre i suoi limiti, in cui ho imparato la durezza dello scontro fisico, la paura che attanaglia le viscere prima di trovarsi di fronte ad un avversario molto più forte, qualcuno che tirerà fuori da te tutto ciò che hai, qualcuno che tirerà fuori da te anche ciò che non pensavi di avere...

La gara, il confronto, gli esami, la battaglia... non si tratta di competizione, non è questione di essere più o meno bravi di qualcun altro. La sfida più importante è quella contro sé stessi, contro le proprie paure, contro la propria pigrizia, contro i propri limiti.

"Mettersi in gioco", quante volte sentiamo questa frase.

E si può perdere, oh sì! Ci possiamo preparare, possiamo studiare, possiamo allenarci, spaccarci testa, ossa e muscoli... e nessuno al mondo può comunque garantirci la vittoria. E più ci siamo impegnati, più la sconfitta è bruciante e avvilente.

Quando si morde la polvere del tappeto, dopo che si è dedicato al proprio allenamento ogni cellula del proprio corpo, ogni momento libero, ogni compagnia, ogni fine settimana, sacrificando ogni momento di piacere e divertimento, pur di presentarsi al meglio delle proprie forze... è qualcosa che può abbattere lo spirito più forgiato. Niente sconfigge di più il guerriero, della sconfitta stessa...

E' il momento peggiore: ci si sente piccoli, umiliati, inutili, inadeguati, rifiutati dal mondo... Si vuole fuggire, andarsi a nascondere, rintanarsi e non affrontare mai più una cosa simile. L'Ignavia è una grande tentazione in questi casi: è così rassicurante, così piacevole...

Quale diavolo di motivo ci può essere, ad affrontare fatica, sudore, dolore, per un esito così incerto? Abbandonare la sicurezza delle azioni quotidiane e consolidate, per affrontare uno scontro diretto con la vita che può distruggerti e toglierti tutto?

Mi sono dato una risposta a questa domanda: conoscere sé stessi...

Uno scalatore che affronta gelo, intemperie, 2-3 ore di sonno a notte, per giungere stravolto in cima ad una montagna... cosa ci guadagna? Nulla. Cosa rischia? Molto... Allora perché lo fa? Va alla ricerca di sé stesso.
L'atleta che si allena come un monaco... Il viaggiatore che si addentra nel deserto, il velista che affronta il mare in burrasca... Perfino l'imprenditore che decide di gettare tutto ciò che possiede nel tentativo di avviare un'attività, sapendo che potrebbe essere la sua rovina, se dovesse fallire... E' alla ricerca di soldi e successo, certo: ma qual'è la molla?

Senza parlare di coloro che si dedicano agli studi una vita intera: fisici, astronomi, ricercatori... alla ricerca di cure, leggi scientifiche, scoperte, certo... ma qual'è la molla?

Il ragazzo che imbraccia una chitarra e suona e pensa alla musica ogni momento della sua vita? Sogna il successo, ovvio, ma qual'è la molla? Lo scrittore, il poeta... il politico perfino! Ognuno di noi diventa qualcuno, quando di quel qualcuno si va alla ricerca.

Ecco l'ignava di cui parlava Dante: un Ignavo non è qualcuno che non ha avuto successo, che è stato sconfitto, che non ha compiuto grandi imprese... L'Ignavo è colui che non sa chi è: colui che non ha mai cercato di scoprire cos'avesse nel profondo. Non ha mai intrapreso il viaggio, rischioso ed incerto, che gli facesse scoprire l'IO nascosto dentro di lui.

Certo fa male a volte, scavare dentro di sé: costa sudore, lacrime, fatica, affrontare certe sfide, superare certi limiti. Chi lo fa, spesso infrange una parte di sé che non verrà mai più ricostruita. E' a pezzi, è in frantumi forse, è sconfitto... forse si trascina ricordando i sogni di gloria.

Però sa... sa chi è, sa quanto ha dato... e sa che farcela quando sembra impossibile farcela, è qualcosa che può cambiarti la vita.

E se non ci credete... chiedetelo a lui.


* Divina Commedia: Canto III dell'Inferno

venerdì 2 novembre 2012

Mi manca una sensazione... Essere esausto, ma contento

Oggi mi ha folgorato questo pensiero...
Guidavo: e io quando guido penso, penso molto. E' una forma di meditazione... credo.

Così, tra una marcia e l'altra, sono stato folgorato da questo pensiero: è tanto, davvero tanto tanto tanto tempo, che non provo più quella meravigliosa sensazione di essere esausto, ma contento: da troppo tempo, la sensazione è quella di essere esausti... e basta.

Quando da bambini si gioca a rincorrersi e fare la lotta... quando si scala una montagna e si raggiunge la vetta... quando si lavora con impegno e si vede realizzare il frutto delle proprie fatiche. Si è stanchi, esausti, esauriti, ma cavolo... l'anima gioisce, il cuore esulta, il nostro animo è pieno di ardore!

E' come fare l'amore: non è davvero stanchezza quella che sentiamo. E' un torpore meraviglioso, che lascia sfiniti ma appagati... E la vita dovrebbe essere questo: fare l'amore con la vita... stancarsi fino allo sfinimento, ma godere di quella stanchezza...

Invece la vita è spesso violenza: ci violentiamo, per fare cose che non ci va di fare e che non ci danno alcun piacere. Perché è necessario, certo... Un caro amico mi ha detto: se stai con la (parola che comincia per m... insomma, merda) fino al collo, stare a lamentarsi serve a poco. Devi prendere una pala e cominciare a spalare. Mi sembra giusto... Spalare, spalare con decisione: con lo scopo di aprirsi una via d'uscita però e uscire dal mucchio di letame in cui ci si trova. Non spalare per andare ancora più a fondo.

Ed è proprio quella sensazione, che fa la differenza: se spaliamo per aprirci la via d'uscita, quando riusciremo a tirarci fuori saremo stanchi, ma contenti e soddisfatti. Invece, se spaliamo per andare solo più a fondo, allora saremo certamente stanchi... ma ci sentiremo che la nostra fatica non serve a nulla, che anzi le cose peggiorano... Ed è esattamente così.

E io voglio tornare a sentire quella sensazione: quell'entusiasmo, che ti porta ad esaurire tutte le tue energie, ma ti lascia appagato e soddisfatto. Voglio essere stanco e contento. Voglio fare l'amore con la vita...




lunedì 29 ottobre 2012

So chi sono?

E' forse questo il motivo principale della nascita del Joker: io so chi sono?
Arrivato ad un certo punto della mia vita, non sapevo più chi ero.
Perché?
Tanti motivi...

Facciamoci queste semplici domande:
1) Faccio quello che mi piace?
2) La mia vita adesso è frutto di mie decisioni?
3) So quello che voglio?
4) Combatto per quello che voglio?
5) Coltivo le mie passioni?

Sono pur sempre un ingegnere, così ho deciso di dare 1 punto per ogni "sì" alle precedenti domande e 1/2 punto per ogni "un po'".
Non svelerò il risultato: 3/5 - 3...

Invito tutti a fare questo test... il punteggio che otterremo sarà un indice di quanto ascoltiamo noi stessi, di quanto "siamo" davvero di noi stessi.
E sarà anche indicativo della nostra felicità. Più il punteggio è alto, ovviamente, più saremo sereni, felici e realizzati... Qualunque siano le cose che ci piacciono, le nostre decisioni, quello che vogliamo e le nostre passioni.

In passato sono stato io, per un punteggio vicino allo 0. Non facevo quello che mi piaceva, non seguivo le mie passioni... ma la cosa peggiore è che nemmeno me ne rendevo conto. Quando per tanto tempo dimentichi di parlare con te stesso, alla fine non riesci più a capirti. Sai solo che stai male, ma non capisci perché... Il male di vivere...

Smettiamo di parlarci e soprattutto smettiamo di ascoltarci: non sappiamo più cosa vogliamo fare, facciamo quello che vuole qualcun altro. Società, datore di lavoro, amici, famiglia... Non solo, ma ce la mettiamo tutta per convincerci che è quello che anche noi vogliamo.

"Ci si mette una maschera, fino a dimenticarci chi c'è dietro..." *


E così, smettiamo di sapere chi siamo...

Allora eseguo questo esercizio, ogni mattina. Mi pongo le 5 domande e do il punteggio ad ognuna. Potrò anche non fare nulla, in seguito, ma almeno saprò. Saprò quanto sono di me stesso...

E deciderò, vorrò, parteciperò... Saprò se sto vivendo la mia vita, oppure la vita di qualcun altro.

Nel momento in cui, per la prima volta, feci questo test, rimasi agghiacciato: 0 spaccato... Com'era possibile?
Avevo 25 anni e non sapevo niente di me stesso... avevo sempre seguito le "regole" di qualcun altro. Ero diventato quello che qualcun altro voleva farmi diventare. E mi ritrovavo così solo, solo dentro me stesso, inascoltato, non capito, senza identità... Io non ero nessuno, non ero niente, ero una marionetta priva di volontà, voglie, piaceri, decisioni... Un relitto sballottato dalla marea.

E per di più, senza più forze. Così, quando provai a ribellarmi, a reagire, a cambiare la mia situazione, trovai ostacoli enormi ed insormontabili. Non solo la mia salute mi impediva di metterci la forza necessaria, ma tutti coloro che mi erano attorno si opponevano al mio cambiamento. Amici, parenti e affini... "Ma come? Non ti riconosco più! Sei cambiato!" E via discorrendo...

Ma ormai la porta era aperta. Il cambiamento era cominciato. Anche volendo, non avrei più potuto non sentire, non sentirmi... non avrei più potuto ignorare il me stesso oscuro che mi parlava dalle profondità della mia anima.

5 semplici domande: ma se si trova il coraggio di porle e di rispondere sinceramente, possono spalancare una porta dentro noi stessi. Possono farci scoprire chi siamo davvero e soprattutto chi non siamo...


* Dal film V per Vendetta

mercoledì 24 ottobre 2012

Razionale o Irrazionale... Dipende dal risultato

Mi è capitato spesso, ultimamente, di sentire criticare la razionalità.
Frasi come: "Pensi troppo, ti preoccupi troppo, io agisco d'istinto, di pancia, senza pensare, lasciarsi andare alle emozioni" e via discorrendo, credo le abbiamo dette e sentite più o meno tutti.

E così, come mio solito, da perfido calcolatore razionale quale sono, mi sono messo a riflettere... Un evento della mia vita mi pone di fronte ad una scelta, all'improvviso: come agisco? D'istinto, oppure rifletto?

Nel mio caso, direi decisamente la seconda: rifletto, ci penso, poi ci ripenso... troppi troppi pensieri e alla fine magari non combino nulla. Quindi la razionalità è negativa? No, secondo me dipende dal risultato.

Immaginate questa scena.
Un gruppo di amici organizza una cena. Stabiliscono posto, ora e altri dettagli.
Il giorno e all'ora concordati (anzi, magari pure un po' in anticipo) alcuni dei partecipanti si presentano al luogo concordato e prendono posto: quindi cominciano ad aspettare gli altri. Aspettare... che barba aspettare, aspettare... da fastidio a tutti.
L'ora dell'appuntamento arriva: ma degli amici ancora nessuna traccia. Cominciano i malumori.
"Sono sempre i soliti! Se sei in ritardo almeno avvisa! Ho fame! Mi rompe di stare qui ad aspettare i comodi degli altri!" e via discorrendo.

Infine, diciamo dopo una mezz'ora o più di ritardo, ecco finalmente giungere i ritardatari. E' questo il momento in cui la storia può prendere due strade.

1) L'aggressione
Alcuni amici, giustamente risentiti per il ritardo e per il mancato avviso, affrontano i ritardatari a muso duro. "Non si fa così, ci avete mancato di rispetto, non siamo mica i vostri zerbini..." ecc ecc. Reazione d'istinto, diciamo. Certamente giusta, se si vuole ragionare su chi ha ragione, tuttavia dal risultato pessimo. Ovvero, una serata passata col malumore, con musi lunghi, o peggio ancora, con finta allegria. L'imbarazzo di chi ha assistito alla "punizione"... serata rovinata insomma. Colpa di chi è arrivato in ritardo certo, ma forse anche nell'eccesso di "istinto" di chi ha reagito.

Infatti nella seconda opzione

2) Chissenefrega
Quando i ritardatari arrivano, i brontolii cessano, chi è più infastidito conta fino a 10, poi sorride: chi ha aspettato abbraccia i nuovi arrivati, si ride, si scherza. In due minuti nessuno si ricorda più del ritardo, del nervosismo. Si beve, si mangia, si festeggia, si ride. Avendo pensato quei 10 secondi in più, avendo scelto di lasciar correre, la serata è stata splendida e chi si era innervosito si sente pure un po' stupido, per essersela presa per così poco.

Allora reagire razionalmente è meglio che reagire d'istinto? Dipende. Mi viene in mente quest'altra scena.

1) Due persone si incontrano in metropolitana (treno, mercato, dove vi pare): si scambiano uno sguardo e nel giro di mezz'ora sono a letto insieme.

2) Le stesse due persone si incontrano nello stesso posto: si scambiano uno sguardo, ma poi vengono assaliti dalla paura, dall'imbarazzo, da troppi pensieri. E tirano ognuno per la propria strada, soffocando il desiderio e rimuginando su "cosa sarebbe stato se..."

Certamente la prima reazione è istintiva: non pone pensieri, ma porta ad un risultato splendido.
La seconda reazione, invece, più razionale, ha il pessimo risultato di farci sentire piccoli e indesiderati.

Allora, è meglio essere razionali o irrazionali?
Direi che dipende dal risultato... Bisogna pensare sì, ma quel tanto che basta per capire dove ci porterà la reazione che stiamo per avere, la scelta che stiamo per fare. Un po' di pensiero non guasta, prima di lasciarsi andare. Un po' di follia e d'istinto, non guastano in nessun pensiero.

Siete più razionali o più istintivi? Qualunque sia la risposta, se incontrate qualcuno in metropolitana... beh, pensate quel tanto che basta a farvi prendere le giuste precauzioni, poi... lasciatevi andare...



domenica 14 ottobre 2012

La gerla

E' normale sentirsi esausti alla mia età?
Non ho ancora 30 anni... e ogni passo sembra costare una quantità di energie vasta come l'oceano. E non solo io: ascolto le persone attorno a me e sento sempre le stesse parole. "Sono stanco."

Siamo un mondo di esausti? Senza battaglie, senza sogni, senza speranze, senza entusiasmo?
Cerchiamo risposte, arranchiamo nel buio alla ricerca di una luce?
 
Mi è venuta in mente questa immagine: tutti noi camminiamo con una gerla sulla schiena.
Quando nasciamo la nostra gerla è vuota, leggera e noi possiamo volare col corpo e con lo spirito.

Crescendo, però, iniziano le resposabilità: così mettiamo delle pietre nella nostra gerla. Dobbiamo affrontare scelte difficili: altre pietre... Ci proibiamo ciò che vorremmo, ci neghiamo i nostri sogni, nascondiamo la nostra personalità per adeguarla a quella del gruppo, del mondo, della religione, del lavoro, della società... Altre pietre... Ad ogni evento di questo tipo, la nostra gerla diventa sempre più pesante.

Tuttavia, i sassi dalla gerla si possono anche togliere: ogni volta che seguiamo il nostro cuore, ogni volta che ci ribelliamo alle imposizioni, alle usanze stupide, ogni volta che vinciamo una sfida contro il mondo e contro noi stessi.

Va da sé, se siamo ragazzi nel pieno della ribellione ormonale, è più facile svuotare la propria gerla. Crescendo, però, aumentano le responsabilità, i doveri e i divertimenti calano... Quindi sono molto più i sassi che mettiamo nella gerla, di quelli che togliamo. E così ci sentiamo esausti e... non abbiamo più voglia di camminare sul sentiero della vita, figuriamoci di correre o volare...

E' difficile (anche se non impossibile) liberarsi di questo peso completamente: tornare a quella condizione selvatica, estatica, del bambino con la mente sgombra da ogni paura, con una folle e piena fiducia nella vita: con quell'entusiasmo e curiosità inarrestabili...

E' certamente possibile e nemmeno troppo complicato cercare di togliere almeno qualche sasso... se non altro per camminare un po' più leggeri. Almeno per smettere di arrabbiarsi con la vita.

Il primo passo, ovviamente, è volerlo fare: il primo passo e smettere di vedere tutto nero, ma cercare quella luce, quella che cerchiamo sempre, ma che ormai abbiamo perso la speranza di trovare... Quella luce, in realtà, c'è, c'è sempre stata ed è dentro di noi. Siamo noi la luce che cerchiamo.

Il primo passo, la prima pietra da togliere, è quindi questa: smettere di pensare che non siamo importanti, smettere di pensare che non meritiamo. Smettere di credere che la nostra luce debba venire dal di fuori, che siano religioni, vestiti, lavoro o amori. La nostra luce siamo noi, il nostro eroe siamo noi, la nostra guida siamo noi. Dobbiamo solo ricordarlo.

Allora ogni giorno, appena svegli, prendiamoci un po' di tempo per noi. Restiamo ad occhi chiusi e sentiamo tutto il peso della nostra gerla carica di sassi sulla schiena, che fa desiderare di poter dormire un altro po', che ci toglie l'entusiasmo per alzarci e goderci questa splendida giornata che la vita ci ha concesso.

Togliamo un sasso. Uno solo. Sentiamo più leggeri, sentiamoci vivi, sentiamo importanti; per il mondo forse non conteremo nulla, ma per noi stessi siamo tutto...



lunedì 1 ottobre 2012

La mezza follia

Mi è capitato, di recente, di sentirmi porre la seguente domanda: 
"Da 1 a 10, quanto sei pazzo?"
Mi è venuto di impulso rispondere 11, semplicemente perché era una bella risposta. Riflettendoci, tuttavia, mi sono reso conto che la risposta è 5.

Sono pazzo 5, ovvero nel mezzo. Ed è davvero la condizione peggiore.
Non sono abbastanza pazzo da fregarmene delle conseguenze, ma non sono abbastanza sano per evitare di fare pazzie.

Sono là, sulla lama di un rasoio...

Appena oscillo un po' verso la follia, precipito e parto per folli avventure; nel pieno dell'avventura, la mia parte ragionevole si fa sentire e vengo colto dal panico e dal terrore totale.

La parte ragionevole allora mi porta ad impegnarmi nelle cose di ogni giorno, nei progetti sociali e instilla in me molti buoni propositi; ma basta che la mia anima folle rialzi appena la testa che ecco, pianto tutto, lasciando chi contava su di me a bocca aperta, stupito e arrabbiato per il mio repentino abbandono...

Salvo poi pentirmene subito dopo, al riaffiorare della ragione e cercare di tornare sui miei passi.

Il territorio di mezzo, la linea rossa su cui non si deve stare, in cui non si deve indugiare: io sto e indugio proprio là. Ad un bivio ci sono da scegliere due strade: ne scelgo una, ma poi mi pento e torno indietro e imbocco l'altra, dopodiché ritorno ancora sui miei passi e avanti così... senza mai giungere ad una decisione...

Le voglio percorrere entrambe, è questa la verità: non ve n'è una che preferisco o più giusta, sono entrambe giuste. E non voglio fare questa scelta...



lunedì 24 settembre 2012

Aspettando...

Sono impegnato in pensieri profondi e grandi castelli d'aria e fumo.
Ascolto musica, leggo, faccio tante cose e ho momentaneamente abbandonato il blog.
Tuttavia, ci sono altri che scrivono cose stupende e per il momento abbandono la scena per fare pubblicità a loro...

Aspettando di tornare a condividere i miei pensieri, consiglio il seguente post, scritto da Camilla.

http://spiritualitaquotidiana.blogspot.it/2012/09/le-erbacce-sono-erbacce.html

Buona lettura

mercoledì 5 settembre 2012

Andare contro tutti... o no?

Succede, alle volte, di reprimere i propri desideri.
E non parlo qui dei desideri violenti o che danneggino in qualche modo gli altri: parlo della semplice padronanza di sé, dei propri piaceri, di quello che ci rende felici.

Dovrebbero essere le cose più normali del mondo, per noi lo sono, ma... insorge un problema. La libertà. Noi non siamo liberi.
 
Accade spesso, che tra noi e la nostra libertà, si aggiungano sempre nuovi ostacoli, di varia natura. Persone, che con i loro atteggiamenti, le loro minacce, le loro lusinghe, i loro inganni perfino, instillano dubbi e paure nella mia mente; paure di perdere qualcosa o di fallire; problemi di salute, di tempo, di coraggio...

E' facile rinunciare alla propria libertà: è così rassicurante, è un tale sollievo, sapere di non dover faticare, soffrire, combattere... Perché
la vera libertà si trova solo alla fine di una lotta atroce e cruenta: e altrettanto dovremo lottare per non perderla. Chi è libero, è sempre in guerra.

Tuttavia... chi vive facilmente, vive anche infelicemente. Si è sereni, ma non appagati: tranquilli, ma non felici... E se dentro si ha un lato indomito, una parte oscura e curiosa che non si fa legare e imbavagliare, allora la vita facile, vissuta nel proprio recinto da buoni, civili e obbedienti bambini... dopo un po' comincia a pesare.

Certo si può sempre mettere a tacere quella voce: è talmente facile. L'alternativa sarebbe scatenare una guerra, le cui vittime sarebbero i nostri affetti più cari e tutte le nostre certezze. La nostra salute, perfino. E per avere cosa alla fine? Una libertà amara, continuamente minacciata... Fatica, lotte, una domanda che si insegue continuamente, senza mai trovare risposta...

E' una cosa indesiderabile, logorante: per il bene delle persone che ho attorno, tutto voglio per loro, fuorché la loro libertà.

Ho notato questo paradosso: se una persona estranea sostiene di aver spezzato dei legami, di aver violato le regole, di aver rischiato pur di trovare la sua identità e libertà, io, tutti noi credo, approviamo. Applaudiamo, invidiamo, ha fatto bene, che diamine!!
Eppure, il nostro entusiamo cambia radicalmente, se a proporre una simile avventura è qualcuno molto vicino a noi, un amico, un parente, un fidanzato, figlio... Qualcuno che fa davvero parte della nostra vita. Allora la ricerca diventa un errore, una follia, un atto di odio verso di noi e i nostri sentimenti. E facciamo di tutto, perché quella persona, per noi così importante, rinunci al suo proposito: magari subito dopo aver lodato lo sconosciuto per le stesse cose. "Lui può, tu no". Utilizziamo ogni mezzo: dissuasione, senso di colpa, minacce, lusinghe... Ogni mezzo, anche fisico a volte, pur di non concedergli la libertà cui anelano. Perché?

Perdere il controllo... Noi detestiamo perdere il controllo sul nostro mondo. Vorremmo che ogni cosa si svolgesse come noi abbiamo deciso, che ogni tessera del nostro mosaico si incastri alla perfezione. Vogliamo controllare le persone che ci sono vicine. Per questo esultiamo e approviamo lo sconosciuto che ha avuto il coraggio di opporsi: ha turbato il mondo di qualcun altro, a me che me ne importa?

E, la maggior parte delle volte, noi li pieghiamo: pungiamo nell'onore, negli obblighi, nella compassione... e così li facciamo rinunciare a ciò che li rende felici. 

"Li facciamo rinunciare alla loro felicità, per la nostra", direte voi, e invece no! Perché, per quante rinunce faranno per noi, per quanti sforzi, per quanto impegno ci metteranno a farci felici, non sarà mai abbastanza. Si divoreranno, si consumeranno, sprecheranno gli anni più belli della loro esistenza cercando di rendere contenti gli altri, noi, e sarà tutto inutile. Poiché la nostra felicità non dipende da loro, anche se noi vorremmo farglielo credere. Glielo facciamo credere per controllarli, perché se anche la loro obbedienza non ci fa felici, la loro disobbedienza ci spaventa più di qualunque altra cosa... Ci spaventa perché mette disordine nel nostro mondo...

E allora questa è una guerra. Una guerra per l'oppressione. Una guerra subdola e psicologica, fatta di inganni, di veleni, di parole dette e non dette, di bugie e maschere.
 
Essere sé stessi è un lusso che ognuno si deve conquistare, a volte ad un prezzo amaro... Poter decidere liberamente di sé stessi, presuppone una disciplina ferrea, un addestramento continuo, un'attenzione continua: proprio come una persona in guerra, non bisogna mai abbassare la guardia e vivere sempre all'erta...

Invidiamo gli individui forti che combattono per la propria libertà e ne stiamo distanti. Opprimiamo quelli deboli, che avendo bisogno di amore e protezione si affidano a noi. E noi li proteggiamo e li amiamo, in cambio della loro sottomissione e della loro acquiescenza. E così si creano clan, religioni, tribù, movimenti, sette, bande... I lupi solitari, i liberi, sono davvero pochi e in genere vengono mal visti, poiché mettono in dubbio la legge che tiene uniti tutti gli altri. Il prezzo per la libertà è la gogna, la vergogna, l'additamento, la solitudine...
 
Forse c'è bisogno di tutto ciò: forse è egoista pensare solo per sé, andare, fare, godere, senza chiedersi se sia giusto o meno. Forse servono davvero spalle forti, che rinuncino a sé stessi per sostenere un mondo che non è il loro... E noi, che su quelle spalle ci reggiamo, stiamo troppo bene, per permettergli di andarsene a cercare la loro felicità.

La difesa e la cura dei più deboli... aiutare chi è in difficoltà... battersi per chi ha meno risorse e capacità... Non sono forse questi i più alti e nobili principi dell'umanità, decantati da tutti i racconti e da tutti i credo?

Ma quegli eroi, morti e distrutti dalla loro missione, di quei santi che si sono consumati per fare del bene... chi ha dato ascolto ai loro di desideri? Qualcuno ha ascoltato le loro preghiere, i loro pensieri, accantonati, messi in secondo piano?

Come sarebbe il mondo, se quelle persone, invece di combattere e morire per noi, si fossero infischiate di tutto e avessero seguito i propri sogni e i propri scopi?

E senza andare così in alto, cosa sarebbe di noi, se le persone a cui noi ci affidiamo ci abbandonassero all'improvviso? E cosa sarebbe delle persone che si affidano a noi, se noi seguissimo le nostre strade abbandonandoli?

E ancora, i due volti del Joker si oppongono...

Il viso luminoso, che si elegge a paladino dei più deboli, degli indifesi, delle persone che contano su di lui per le piccole cose di ogni giorno. L'essere che accantona i desideri e decide di porre le difficoltà degli altri al di sopra delle proprie necessità e che combatterà fino alla morte, pur di proteggere le persone che ama...

Il viso oscuro, che pretende le proprie soddisfazioni: la parte che crede che ognuno abbia l'obbligo di cavarsela con i suoi problemi e le sue paure. L'essere che vuole solo vivere, sognare e inseguire tutte quelle cose che gli danno gioia e avventura. L'essere si abbandona ai desideri, infischiandosene di tutto e di tutti... L'essere che combatterà fino alla morte, per mantenere la sua libertà e la sua indipendenza...

E qual'è la cosa giusta? Andare contro tutti, perfino contro sé stessi, o no?